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32° ROCCELLA JAZZ FESTIVAL 2012

32° ROCCELLA JAZZ FESTIVAL 2012

Paolo Damiani

31/08/2012


 


Interviste a Franco Fayenz (critico Musicale) - Sisinio Zito (Presidente Ass. Culturale Jonica) - Paolo Damiani (Direttore artistico) - Vincenzo Staiano (Direttore organizzativo)
di
Giovanni Certomà



"32° ROCCELLA JAZZ FESTIVAL": ENTUSIASMANTE LA SERATA FINALE



Serata finale ad effetto, fortemente emozionale ed amabilmente evocativa delle suggestioni più diverse, ieri, sabato 25 agosto, presso il Teatro al Castello di Roccella Jonica e non solo per le ottime esecuzioni musicali andate in scena: il Festival che sembrava non dovesse esserci, i suoi trentadue anni ricchi di contaminazioni e sperimentazioni ritmiche, concreto confronto e integrazione tra etnie diverse in nome del linguaggio universale dellamusica, che molti ormai erano pronti a dare in pasto all’oblio, ha dato prova di ritrovato orgoglio ed inedita forza propulsiva.

 

I sopra citati concetti, l’incontro tra diverse culture, la concreta valenza da conferire allo spesso abusato ed astratto termine di “musica globale”, si sono piacevolmente manifestati nella splendida esibizione del celebre sassofonista e compositore Ilhan Ersahin insieme alla sua Istanbul Sessions (Ismail Alp Ersönmez, basso; Turgut Alp Bekoglu, batteria; Izzet Kizil, percussioni): sono rimasto letteralmente stregato dalla forza delle note espresse dal suo sax, così spasmodicamente vitali, energiche, capaci sia di evocare atmosfere esotiche, orientaleggianti, sia di creare un valido e suggestivo ponte musicale volto a mitigare, nel segno di una valida continuità sinergica, le sonorità più aggressive, dure, espresse dal basso di Ersönmez (geniale il batterne le corde con una bacchetta da tamburo) e quelle dai richiami tribali espresse da Kizil alle percussioni.

 

Siamo di fronte ad un jazz moderno, contaminato dal rock e dal funk in egual misura, con più di un richiamo a Miles Davis, omaggiato infatti nel corso dell’esecuzione con un brano a lui dedicato, capace di cedere e credere al potere della “sana” improvvisazione, senza compiacimenti o ricercati virtuosismi, in nome di una forte ed unitiva creatività.

 

Chiusura a dir poco strabiliante, una volta entrati nel “gioco” della contemporanea presenza sul palco di diverse espressioni musicali scaturenti da più origini culturali, con Orquestra Todos (Alì Regep, voce, Turchia-Romania; Dan Hewson, trombone, Regno Unito; Danilo Lopes Da Silva voce, chitarra, Capo Verde; Francesco Valente, contrabbasso, basso elettrico, Italia; Gueladjo Sane, Dunduns, Djembe, Guinea-Bissau; Johannes Krieger, tromba, Germania; João Gomes, teclados, Portogallo | Mozambico; Joaquim Teles (Quiné), percussioni; Kalimba, voce, Portogallo; Marc Planells voce, sitar, ud, saz, Spagna; Marcelo Araujo, batteria, Brasile; Mucio Sá, chitarra, Brasile; Max Lisboa Voz- chitarra, Brasile; Rubi Machado, voce, Índia | Mozambico; Susana Travassos, voce, Portogallo. Direttore Mario Tronco, Italia. Direttore Musicale Pino Pecorelli, Italia).

 

Si tratta di un complesso progetto interculturale, integrazione tra i gruppi di Largo Intendente a Lisbona e quello dell’ Orchestra di Piazza Vittorio (nata a Roma nel 2002, ideazione e creazione di Mario Tronco e Agostino Ferrente), con musicisti che fanno uso di strumenti diversi, spesso appartenenti alla propria tradizione, un’apparente “Babele musicale” che trova rimedio alla paventata confusione grazie al potere unente della musica, che in tal caso non può che fondatamente definirsi incredibile e straordinario: una volta “partiti”, in particolare grazie all’energica e ritmica direzione di Pecorelli, tutte le diversità si sono magicamente fuse in un unico suono e in un’unica vocalità, senza alcun tradimento delle origini, tra sonorità antiche e nuove, una coralità cosmopolita capace d’incroci musicali sulla carta forse impossibili e per di più con la valorizzazione di ogni singolo elemento.

 

Il clou è stato rappresentato dal bis richiesto a gran voce e concretizzatosi nelle note di What a Wonderful World, che riesce a far sognare tutti i presenti, facendoci sentire uniti da un abbraccio universale, dalla forte valenza simbolica, tanto da far venire in mente, sospinte dalle note, parole come pace e fratellanza, nel loro significato più profondamente umano e non politicamente etereo e vacuo: potere della musica, la forza di un Festival che ne traduce il linguaggio in parole, riportando il concetto di cultura al suo significato più puro, comprendendovi quanto degno d’essere trasmesso alle generazioni successive. 

 

di
Antonio Falcone

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"32° ROCCELLA JAZZ FESTIVAL": STREGATI DALLA "RADAR BAND" DI PAOLO DAMIANI

Un ammaliamento musicale dalle caratteristiche quanto mai diverse ha caratterizzato ieri, venerdì 24 agosto, la penultima serata del Roccella Jazz Festival presso il Teatro al Castello, tra piacevoli conferme e pregevoli innovazioni (queste ultime, almeno per quanto mi riguarda, sono ancora in fase di lenta metabolizzazione).
Riguardo le prime, difficile non rimanere stregati e sentirsi piacevolmente avvolti dalla morbidezza e rotondità esecutiva espresse da ogni singolo componente della Radar Band di Paolo Damiani (Paolo Damiani, violoncello, composizioni; Cristiano Arcelli, sax, arrangiamenti; Ludovica Manzo, voce; Francesco Fratini, tromba; Luca Aquino, tromba; Massimo Morganti, trombone, sax baritono; Luigi Masciari chitarra; Michele Francesconi, pianoforte; Daniele Mencarelli, basso; Alessandro Paternesi, batteria; ospiti Francesco Loccisano, chitarra battente e tba percussioni etniche), sia in assolo che come ensemble, per una perfetta armonia vocale e strumentale.
Coerentemente con il tema di questa 32ma edizione, Cose turke, fil rouge tra i vari brani è stato il romanzo Il museo dell’innocenza (Einaudi, 2009) dello scrittore turco Orhan Pamuk (premio Nobel per la Letteratura nel 2006), del quale sono stati letti alcuni stralci, riuscendo a miscelare classicità e ricerca di nuove sonorità, grazie anche agli arrangiamenti di Cristiano Arcelli, con più di un’ attenzione volta alle sonorità proprie del bacino del Mediterraneo, da sempre luogo privilegiato d’incontro e confronto tra culture, lingue, religioni (il brano “popolare” interpretato da Ludovica Manzo, la chitarra battente di Loccisano).
Così come nel suddetto romanzo di Pamuk il protagonista dà vita ad una raccolta di vari oggetti appartenuti alla donna amata, per placare il dolore di un passato, forse lieto, che non tornerà più (“l’uomo può solo cercare di essere felice e sforzarsi di dimenticarlo”), cristallizzando in essi l’atmosfera di un tempo e i suoi lampi più luminosi, così questo nuovo progetto di Damiani, il cui tema conduttore ritorna più volte durante l’esecuzione, unendone l’inizio e la fine, rappresenta musicalmente la concentricità circolare della vita stessa, dove il ricordo dei tanti momenti vissuti, tra rimpianti e liete rimembranze, ne rappresenta il significato essenziale.
Venendo al secondo concerto in programma, Molvaer/Aarset/Bang (Nils Petter Molvaer, tromba; Eiving Aarset, chitarra; Jan Bang, live sampling), le note lancinanti e, a volte, inquietanti, della tromba di Molvaer, accompagnate dai graffi della chitarra elettrica di Aarset e dall’improvvisazione elettronica di Bang, hanno creato un’atmosfera tanto elegante, rarefatta e suggestiva, quanto straniante come impatto complessivo, probabilmente un po’ fredda e veramente coinvolgente solo per la pregevole mescolanza, apparentemente grezza, quasi una sorta di collisione, tra più generi musicali, con il filtro degli effetti elettronici a garantire una comunque apprezzabile linearità personalizzante: forse il futuro del jazz o il jazz del futuro, che dir si voglia, ma questa, come si suole dire, è un’altra storia e vi saranno certo altre occasioni per parlarne.
di
Antonio Falcone


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"32° ROCCELLA JAZZ FESTIVAL": TRA SPIRITUALITA’ TURKA E RIVISITAZIONI ROCK

 

 

 

 

Serata di grande impatto musicale ieri, giovedì 23 agosto, presso il Teatro al Castello di Roccella Jonica, pur con sonorità e proposizioni ritmiche nettamente differenti: in apertura Sufi InvocationsTurkish Sufi Music by Kudsi Erguner Ensemble (Kudsi Erguner, ney; Hakan Gungor, kanun; Hamdi Akatay, percussioni; Bora Uymaz, voce), un affascinante progetto, con l’indubbio merito di far conoscere sia una tradizione d’invocazione all’ Essere Supremo concretamente mistica e fortemente spirituale, sia un percorso melodico suggestivo nella sua diversità; a seguire, Francesco Bearzatti TinissimaMonk ’n’roll (Francesco Bearzatti, sax tenore, clarinetto; Giovanni Falzone, tromba ed effetti vocali; Danilo Gallo, basso acustico; Zeno de Rossi batteria e percussioni), un omaggio, adrenalinico e scoppiettante, al pianista e compositore Thelonious Sphere Monk ( 1917-1982), il “santone pazzo” del jazz che, cavalcando istinto ed improvvisazione, ne ha in certo qual modo reinventato il linguaggio, portandolo verso stilemi più moderni.

 

Kudsi Erguner e il suo ney, particolare flauto di canna (immagine dell’uomo perfetto come ha tenuto a spiegare, un guscio trasparente animato dal soffio del Divino), insieme agli altri componenti della formazione (memorabili le note scaturenti dal kanun di Gungor e le invocazioni espresse dalla voce di Uymaz) sono riusciti nella non facile impresa di trasportarci in una dimensione, spirituale e musicale, del tutto diversa dalla nostra, facendo leva sulle ritualità tradizionali della mistica islamica: un particolare cammino, soffusamente elegiaco, di realizzazione spirituale attraverso stati superiori di coscienza, volto alla ricerca di un’unione intima con Dio e la musica a farsi portatrice di un linguaggio universale d’avvicinamento e comprensione verso chi, per quanto diverso da noi, è sempre il “nostro prossimo” d’evangelica memoria.

 

Riguardo Monk ’n’roll, Bearzatti e Falzone (Gallo e de Rossi per quanto eccellenti, sono finiti inevitabilmente in secondo piano) hanno dato vita ad un vero e proprio gioco musicale, “sfidandosi a regolar tenzone” a colpi di sax o clarinetto, tromba ed effetti vocali, nella rilettura in “stile Monk” (un’estrema evoluzione delle sonorità, accentuato virtuosismo ritmico, armonia ricercata ma a volte “sporca”, all’insegna della totale imprevedibilità) di celebri brani rock, opera di vari artisti o gruppi (tra quelli riconoscibili, con buona approssimazione:Pink FloydQueen, Sting, Michael Jackson).

 

Con Bearzatti a volte sin troppo compiaciuto e Falzone più improntato ad un sano divertissement, e qualche tocco autoironico, il suddetto gioco tra i due ha funzionato e coinvolto sino alla fine, anche se, in buona sostanza, pur affascinato dalla bontà ed originalità del progetto, non ho potuto fare a meno di notare una certa ripetitività sulla distanza ed avvertire la sensazione di come il tutto fosse essenzialmente fine a se stesso, forse meritevole di un’ ulteriore e più compiuta caratterizzazione.

 

Una gran bella serata, coinvolgente sotto diversi aspetti, per un Festival partito un po’ in sordina, e le sorprese credo non siano ancora finite …

di
Antonio Falcone

 

 


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"32° ROCCELLA JAZZ FESTIVAL": L’ARMONIA DELLA TROMBA DI TOM HARREL

Conclusi gli spettacoli itineranti, Roccella Jazz Festival è tornato da ieri, mercoledì 22 agosto, nella sua tradizionale location, con i consueti appuntamenti, il pomeriggio un evento presso l’Auditorium Comunale e la sera due concerti all’interno dell’ Anfiteatro al Castello.
Ad inaugurare la serie dei concerti serali una produzione originale di Jon Hassel Group (Jon Hassell, tromba, tastiera; Luca Aquino, tromba; Enrico Rava, tromba; Michel Benita, contrabbasso; Rick Cox, chitarra, live samples; Kheir-Eddine M’Kachiche, violino), Sketches of the Mediterranean-Celebrating Gil Evans, volta a rendere omaggio al celebre direttore d’orchestra, compositore, pianista e arrangiatore (1912-1988), che ha saputo conferire alla musica jazz un’inedita aura di creatività, dalla iniziale fase cool, a metà degli anni ‘50 (la collaborazione con Miles Davis), passando per il jazz modale e finendo con la fase elettrica degli anni ’70, con aperture verso il rock e la fusion.
L’esibizione del suddetto gruppo è stata certo tecnicamente ineccepibile, suggestiva ed autoriale, per quanto non propriamente trascinante nella sua compostezza, nel profondo rispetto delle sonorità espresse a suo tempo da Evans, alla ricerca di un’insolita armonia tra strumenti diversi, un rincorrersi di dissonanze stranianti, ipnotiche a volte (l’attacco iniziale del contrabbasso di Benita), e morbidezze appena accennate, rese comunque evidenti dalle note delle trombe di Rava e Aquino, per un’esecuzione che è proseguita sino alla fine senza uno stacco evidente tra i vari brani, ma con un’ affascinante soluzione di continuità garantita dalla perfetta integrazione dei vari elementi.
Subito dopo è stata la volta di Tom Harrell, The Time Of The Sun (Tom Harrel, tromba, filicorno e composizioni; Wayne Escoffery, sax tenore; Danny Grissett, piano e Fender Rhodes; Ugonna Okegwo, basso acustico; Johnathan Blake, batteria) e, quasi magicamente, ci si è ritrovati immersi in un’essenzialità musicale canonica, limpida ed elegante, che ha contribuito a creare un’atmosfera dai toni onirici: Harrell abbraccia la tromba, diviene tutt’uno con essa, alternando melodia “classica” e sperimentazione con estrema sensibilità, esprimendo una profonda armonia con tutti i componenti della sua band, lasciandogli opportuni spazi per esprimere le loro potenzialità, anche se a predominare sono state le profonde tonalità espresse dal sax tenore di Escoferry, perfettamente integrate con la timbrica di Harrel, sottolineando la particolare continuità ritmica garantita dal piano di Grisset.
di
Antonio Falcone

Antonio Falcone - Giovanni Certomà

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