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Il 13 sciopero della pastasciutta
27/03/2008
”Le colpe della filiera: ”Un chilo d’uva al produttore viene pagata 0,35 centesimi
ma viene venduta al consumatore finale anche a oltre due euro”
di ROSARIA AMATO
Il logo dello ’sciopero della pastasciutta’ indetto per il 13 settembre
ROMA - Una giornata di ”sciopero della pastasciutta” per protestare contro l’aumento eccessivo di prezzi dei beni di consumo, a cominciare da quelli di prima necessità. La protesta è stata indetta per giovedì 13 setttembre dalle associazioni dei consumatori Adoc, Adusbef, Codacons e Federconsumatori. ”C’è stata una vera e propria speculazione - denuncia il presidente dell’Adusbef Elio Lannutti - quest’anno le famiglie spenderanno per consumi 1098 euro in più rispetto al 2006. E’ aumentato tutto, eccetto i farmaci e la comunicazione”.
Ma perché proprio uno sciopero della pastasciutta? ”E’ un nostro piatto tipico - spiega il presidente dell’Adoc Carlo Pileri - e sappiamo come è difficile rinunciarvi. E’ un fioretto collettivo quello che chiediamo agli italiani, per sottolineare che la situazione è grave”. Rinunciare un giorno alla pastasciutta e quindi all’acquisto degli ingredienti che servono per prepararla serve infatti a mettere l’accento sul fatto che ”la stangata”, come la definiscono le associazioni consumeristiche, si è abbattuta proprio sui beni maggiormente necessari, quelli alle quali le famiglie non possono rinunciare e che costituiscono una grossa fetta della spesa dei nuclei a basso reddito (e che al contrario diventano una percentuale poco significativa della spesa dei nuclei più abbienti).
Dalle rilevazioni Istat risulta che a luglio l’incremento dei generi alimentari è stato del 2,5 per cento rispetto allo stesso mese dell’anno precedente. I prodotti freschi ad agosto hanno avuto una crescita media del 3 per cento, con delle punte di molto superiori: la crescita tendenziale dei prezzi della frutta nello stesso mese è intorno al 6 per cento. Il pane ha registrato un aumento su base annua del 4 per cento.
Considerando i prezzi assoluti, ecco alcune cifre fornite dalle associazioni di consumatori: l’anno scorso un chilogramma di farina costava 0,80 centesimi, mentre oggi costa 0,89 centesimi; un chilo di penne è passato da 0,90 centesimi a 1,10 centesimi, mentre un chilo di pane da 2,10 euro a 2,46 euro; un chilo di spaghetti è salito a 1,14 euro, rispetto ai 90 centesimi del 2006; i crackers costano oggi 2,10, mentre l’anno scorso costavano 1,90 euro.
Questi aumenti, denunciano le associazioni dei consumatori, vanno solo a vantaggio dei commercianti, l’ultimo anello della filiera: i produttori sono sempre più in difficoltà. ”Gli agricoltori della Puglia, la terra del ministro De Castro - dice Lannutti - per produrre un chilo di uva da tavola spendono 50 centesimi al chilo, mentre riescono a farsela pagare 35 centesimi dai grossisti. Al consumatore finale però lo stesso chilo d’uva viene venduto per due euro, anche di più. Stessa cosa con i pomodorini, che partono da 15-20 centesimi per arrivare a 1,50-due euro”.
Che nel sistema ci siano delle anomalie è stato in parte riconosciuto dallo stesso governo, che ha accettato di ricevere le associazioni dei consumatori il 12 settembre e ha annunciato per le prossime settimane una serie di incontri con gli operatori della filiera alimentare sul tema dei rincari.
Anche la Cia (Confederazione Italiana Agricoltori) ha scelto la via della protesta, promuovendo una raccolta di firme per una petizione popolare rivolta al presidente del Consiglio Romano Prodi per l’introduzione obbligatoria dei cartellini di vendita trasparenti sui prodotti alimentari, che indichino il prezzo all’origine oltre a quello finale.
E la Coldiretti, mostrando apprezzamento per la protesta delle associazioni dei consumatori, spiega come ”il prezzo del grano riconosciuto agli
agricoltori sia oggi lo stesso del 1985 mentre da allora il divario dei prezzi tra grano e pane è aumentato di ben<
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