Non dubitare mai di se stessi.
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L’Antigone
27/03/2008
di
Marta Diotallevi
L’Antigone è una tragedia scritta intorno al 441 a.C. da Sofocle – ha per oggetto gli avvenimenti conclusivi del dramma dell’ Edipo re.
Il testo inizia con il dialogo tra Antigone e sua sorella Ismene, durante il quale viene ripreso il tema dell’”Edipo re”, cioè Edipo, padre di Antigone, viene esiliato dalla città di Tebe per incesto e parricidio, in seguito gli succedono Eteocle e Polinice, i due figli maschi di Edipo, d’accordo sul governare il regno un anno a testa. Eteocle però non aveva voluto cedere il regno e per questo Polinice assale Tebe appoggiato da un esercito di Argivi. I due fratelli, scontratisi, si uccidono a vicenda, gli Argivi fuggono nella notte e Creonte, cognato di Edipo, diventa il re legittimo di Tebe. Questi dichiara quindi che Eteocle, che ha combattuto per la salvezza di Tebe, venga sepolto da eroe ed onorato come volevano le usanze, mentre Polinice, che ha combattuto per ottenere il regno con la violenza, resterà insepolto nel disonore.
Antigone confida alla sorella il suo disappunto verso la legge emanata da Creonte e il desiderio di dare sepoltura ai corpi di entrambi i fratelli. Ismene, allora, ricorda alla sorella che essendo nate donne non possono competere od opporsi agli ordini degli uomini, poiché più forti e più in alto nella società greca del tempo; per Ismene è quindi “insensato chi voglia agire contro agire contro i propri limiti”. Antigone sostiene la sua idea, affermando che sarà colpevole di un santo crimine e che in fondo è ai morti che deve compiacere, perché è con essi che dovrà passare più tempo.
In questo primo episodio è evidente la contrapposizione tra la legge imposta dallo stato e quello morale sostenuta da Antigone, infatti Ismene non aiuta la sorella e coprire il corpo di Polinice con della sabbia e ad effettuare i riti di sepoltura.
In seguito Antigone viene arrestata e condotta da Creonte, il quale aveva stabilito fin dall’inizio che la condanna per il crimine commesso in seguito da Antigone sarebbe stata la morte. Antigone non teme la condanna e conferma l’accusa, non alle leggi scritte lei ha inteso obbedire, ma alle leggi degli dei, alla norme non scritte e indistruttibili dettate dalla natura e dalla propria coscienza.
Per questo, con grande temperamento la giovane risponde a Creonte: “Avrei mai potuto affrontare il furore dei numi per timore di un uomo arrogante? Sapevo che sarei dovuta morire, anche senza i tuoi bandi. Se prima del mio tempo ciò dovrà dunque accadere per me sarà tutto guadagno. Per che come me vive tra le sventure, come non ritenere la morte prematura un guadagno?”. Il rischio di morte non spaventa Antigone ne le da sofferenza, soffrirebbe, invece, se dovesse cedere alla prepotenza del tiranno e nel vedere il corpo di Polinice divorato da cani e uccelli.
Creonte decide l’arresto di Antigone e di Ismene, come complice e decreta l’esecuzione di entrambe.
Subito Emone, figlio di Creonte e promesso sposo di Antigone, supplica il padre, cercando di fargli capire che non solo ciò che Creonte pensa sia giusto e che non può essere saggio se si ritenga il solo ad esserlo.
Ma Creonte, cieco e arrogante, lo deride e ignora il suo punto di vista; mentre Emone è furente nei confronti del padre e per essere stato trattato in quel modo.
Creonte, il tiranno decide l’esecuzione di Antigone e riconosce, però, l’innocenza di Ismene; Antigone, condotta fuori Tebe, è chiusa in una caverna per attendere la morte.
Subito dopo Creonte viene avvertito da Tiresia, indovino tebano cieco e spietato antagonista di Edipo nell’Edipo re, che gli dei sono adirati per aver rifiutato la sepoltura di Polinice, infatti gli stessi uccelli che mangiano la sua carne e vengono usati per i sacrifici, non fanno levare fiamme dall’ora delle offerte.
Inizialmente Creonte deride anche le sventure previste dall’indovino, ma in breve revoca la condanna di Antigone e acconsente alla sepoltura di Polinice, poiché il corifeo ricorda<
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