A ruota libera

Morto il grande Don DIvo Barsotti

Morto il grande Don DIvo Barsotti

27/03/2008



«La fuga immobile» di don Divo, tra l’amore
per la tradizione e il rinnovamento dei cuori

Dalla Firenze di La Pira a una Comunità estesa in tutto il mondo: don Barsotti, sempre teso verso l’Assoluto, oltre che predicatore di razza fu un grande scrittore

Di Serafino Tognetti*

Don Divo Barsotti, unanimemente riconosciuto come una delle figure più luminose della Chiesa del Novecento, è stato scrittore, poeta, predicatore, fondatore di una Comunità di carattere contemplativo che conta più di duemila membri sparsi nel mondo, uomo dello Spirito. Paradossalmente, per chi lo abbia cercato e abbia desiderato conoscerlo, non è stato facile mai scovarlo o incontrarlo, perché don Divo non ha mai amato né voluto le copertine, le immagini. «Gesù - scriveva Kierkegaard nei suoi Diari - non desidera ammiratori, ma seguaci; non vuole applausi, ma discepoli». Così anche don Divo Barsotti: pur avendo grandi capacità e grandi doti, e una vita di preghiera fuori dal comune, è scappato sempre da ciò che può semplicemente apparire.
Irriducibile, anima tesa all’Assoluto, don Divo ha sempre dichiarato di aver cercato la volontà di Dio sino alla fine, senza sentirsi mai appagato in alcun posto. A iniziare dalla propria diocesi, San Miniato, appena ordinato sacerdote, tanto che nel dopoguerra il vescovo lo lasciò partire volentieri per Firenze. Anche a Firenze un posto vero e proprio non lo ha mai avuto: troppo incandescente per avvicinarsi a lui; una parola viva ma anche tagliente, la sua. Dal convento della Calza, dove il cardinale Elia Dalla Costa lo aveva mandato come cappellano di suore, cominciò a farsi notare per la predicazione, ricca di toni nuovi per quel tempo, che richiedeva un rinnovamento della Chiesa, ossia di tutti i battezzati, chierici e laici, nella via della santità. Dopo gli anni di vita nascosta e di studi privati e personali a Palaia, le sue predicazioni colpivano per il vigore e il senso di Dio che trasmettevano, con quella esegesi biblica spirituale e spericolata, con quel richiamo continuo alla perfezione, con quel suo non intrupparsi e irreggimentarsi in alcuno schema. Decisamente di indole contemplativa, quando nel 1951 scrisse il suo capolavoro Il Mistero cristiano nell’anno liturgico, non si accorse di aprire una scuola nuova, insieme a Odo Casel, peraltro mai conosciuto personalmente, che avrebbe avuto una grande importanza, ancora non esaurita, in seguito. Entrare nel Mistero, della vita e della morte, inserirsi nell’Atto di Cristo di morte e resurrezione, per salvare, con Lui, il mondo: questo è stato il punto fisso della vita e della predicazione di don Barsotti. Come? Semplice: con la preghiera oggettiva, la liturgia (Santa Messa e Liturgia delle Ore), la contemplazione, il silenzio, l’esercizio della Divina Presenza continua, la preghiera del cuore. Cose che egli ha esercitato e insegnato a tutti i livelli.
Da giovane prete, per qualche anno volle andare in missione in India o in Oriente, ma i tentativi sempre fallirono; incarichi e impegni ufficiali la Chiesa non gliene diede mai; amicizie tante, ma sempre al di là dei gruppi e degli schieramenti. Giorgio La Pira, soprattutto, gli fu caro amico in quegli anni a Firenze. Ma la sua irrequietezza spirituale gli impediva di mettere radici da qualche parte in maniera definitiva. Solo alcune donne anziane, della zona di Porta Romana a Firenze, nel dopoguerra osarono mettersi alla sua sequela, e don Divo, anziché proporre una direzione spirituale personale singolarmente, fece di loro un gruppetto di preghiera e di studio, dando un programma di vita che avrebbe impegnato severamente anche dei trappisti. Nacque così la Comunità dei figli di Dio, che avrebbe poi avuto nel tempo una lenta ma continua crescita in Italia e nel mondo.

Centinaia di libri,
dall’agiografia alla mistica

Scrittore senza cercare pubblicità, uomo di preghiera che sentiva l’urgenza di comunicare la propria esperienza, amico di molti senza dipendere da n
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