Non dubitare mai di se stessi.
{G. Certomà}
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E’ morto il grande Mimmo Rotella
27/03/2008
”Ha voluto lavorare fino a quando le forze non l’hanno abbandonato: il mattino dell’8 dicembre, giorno dell’Immacolata, Mimmo Rotella forza il dolore che gli macera le ossa e strappa le sue ultime Marilyn: dodici. Rotella è nel suo studio: sceglie le immagini con lentezza, allineandole per terra. Soffre, da tempo è malato. Sa che non gli resta tanto tempo. Ma di fronte ai manifesti di Marilyn tutto sembra scomparire: ecco gli strappi, la mano che lacera la carta, ma stavolta con qualcosa in più. Una rabbia silenziosa, fredda, potente, la rabbia di chi vuole esorcizzare con il gesto d’ogni giorno il disegno del destino. Poi, rivolgendosi a Paolo Nava, il giovane assistente e a Piero Mascitti, amico e direttore della Fondazione: «Non ce la faccio più. Portatemi a casa».
L’addio di Rotella è il volto di quell’ultima Marilyn. «Non ho paura di morire. I grandi artisti hanno avuto il privilegio di parlare con Dio. Il mio sogno è proprio questo: parlare con Dio». Mimmo Rotella se n’è andato così, con la conversione nel cuore e questo desiderio di Paradiso, ieri, a 87 anni, nella sua casa di Milano, la città che aveva scelto («è sempre generosa, qui nascono le nuove icone») dopo aver lasciato Catanzaro e aver vissuto da artista un po’ bohémien, un po’ guascone, da Napoli a Roma, da Parigi a Kansas City. Rotella è stato l’indiscusso inventore di un linguaggio. I suoi strappi, i suoi décollage, quei manifesti lacerati ci hanno insegnato a guardare la città come un luogo di creatività collettiva. Come un museo a cielo aperto dove tanti frammenti di rabbia sui manifesti pubblicitari si trasformano in uno spazio estetico, memoria di mille esistenze ma, soprattutto, materia pulsante.
Rotella non ha fatto altro che «fermare» quello sguardo, insegnandoci a vedere. Nel prossimo marzo uscirà da Skira la prima, organica monografia critica sotto la cura di Germano Celant: «Rotella si appropria dei volti degli attori, dei titoli dei film, delle scritte promozionali, degli animali da circo, delle automobili, dei nudi, degli aeroplani — scrive il critico nel volume Avenue Rotella — di tutte le icone che compongono la narrazione e la spettacolarizzazione della comunicazione in città, e innesca su queste un processo reattivo, tramite lo strappo, affinché la strada entri nella sua arte e diventi una potenza generatrice, sempre imprigionata nel crogiolo della pittura». L’esistenza di Rotella rientra nell’iconografia della vita d’artista dove si intrecciano passione, ironia e tenacia. Una vita anche trasgressiva (ben raccontata nell’autobiografia L’ora della lucertola), dove arte e belle donne convivono in un legame indissolubile: «Giravo per Saint Tropez con un frustino e due ragazze nude sedute sui sedili della mia spider», ricordava ogni tanto, sorridendo. Rotella eccentrico lo è stato davvero, tanto da essere l’ispiratore dell’esilarante personaggio di Un Americano a Roma interpretato da Alberto Sordi: nel ’53, appena tornato dagli Stati Uniti, proprio da Kansas City, girava per Roma con camicie, giacche e cappelli vistosissimi, esageratamente all’americana. Un vezzo d’artista talmente surreale che l’amico Lucio Fulci, sceneggiatore di Steno, non se lo lasciò scappare. Il tormentone di Nando Moriconi è nato grazie a quel giovane artista che lungo le strade di Roma era alla ricerca di una «illuminazione».
Il percorso artistico di Rotella prende il via qualche anno prima, nel ’45, con il linguaggio rassicurante della pittura: pastelli, matite, olii. Ma già nel ’49 comincia a sentire qualche insofferenza e inizia a comporre le «poesie fonetiche e epistaltiche», diventando, di fatto, un «performer». Segno di una necessità prepotente: trovare una nuova rappresentatività dell’arte. «L’illuminazione», così amava chiamarla, arrivò una mattina del ’53: «Giravo in Piazza del Popolo — ricorda —, ero in crisi, non volevo più dipingere, poi vedo un manifesto lacerato. Mi fermo. Ho un colpo al cuore, una specie di choc. Forse è questo il nuovo mess
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