A ruota libera

PAPA: POSSANO I TERREMOTATI D’ABRUZZO VEDERE LA LUCE

PAPA: POSSANO I TERREMOTATI D’ABRUZZO VEDERE LA LUCE

11/04/2009


In ginocchio, dalla terrazza del Palatino di fronte al Colosseo, papa Benedetto XVI ha presieduto stasera una Via Crucis particolarmente dolorosa, con il pensiero che inevitabilmente è andato al sisma che ha colpito la provincia dell’Aquila e allo strazio vissuto oggi ai funerali delle vittime. Nella cerimonia della via crucis, Ratzinger ha detto di pregare con "tutti gli addolorati, con tutti i sofferenti della terra terremotata di Abruzzo, perché anche a loro appaia la stella della speranza e la luce del Signore Risorto". Le fiammelle delle candele tenute in mano da decine di migliaia di fedeli, la magia dei Fori e del Colosseo illuminati nella notte romana, hanno fatto da sfondo al tradizionale rito del Venerdì Santo, rilanciato, come sempre, in mondovisione. Il pontefice non ha portato la croce che è stata affidata al suo vicario per Roma, il card. Agostino Vallini, nella prima e ultima stazione (la quattordicesima), e poi ad un giovane disabile in carrozzella, ad una famiglia romana, ad una ragazza e due suore dell’India, a 2 giovani africani del Burkina Faso e a due frati della Custodia di Terra Santa.

La cerimonia si è aperta con una preghiera che, pur se scritta in altri tempi, è sembrata adattarsi perfettamente all’ultima tragedia italiana. "Cari fratelli e sorelle - recitava il testo composto dal vescovo indiano Thomas Menamparampil - siamo venuti a cantare insieme ’un inno di speranza’. Vogliamo dire a noi stessi che tutto non è perduto nei momenti di difficoltà". Anche "sotto la superficie di calamità naturali, guerre, rivoluzioni e conflitti di ogni genere, vi è una presenza silenziosa, vi è un’azione divina mirata", è stato letto. "Uno tsunami ci dice che la vita va presa seriamente. Hiroshima e Nagasaki restano luoghi di pellegrinaggio. Quando la morte colpisce da vicino, un altro mondo ci si fa accanto. Allora ci liberiamo dalle illusioni e abbiamo la percezione di una realtà più profonda", ha spiegato il presule indiano nelle sue riflessioni, una sorta di affresco del dolore e della speranza cristiana.

"La storia - ha affermato mons. Menamparampil - è piena di odio e di guerre. Anche oggi siamo testimoni di violenze al di là del credibile: omicidi, violenze su donne e bambini, sequestri, estorsioni, conflitti etnici, violenza urbana, torture fisiche e mentali, violazioni dei diritti umani". Il vescovo si è domandato: "Chi sono i colpevoli?" "Non puntiamo il dito verso gli altri, perché anche noi possiamo avere avuto la nostra parte in queste forme di disumanità", ha risposto con accenti autocritici.

ansa.it

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