18/05/2010
"IO sono il poeta più patetico del Novecento, nel senso che il mio è un pathos del corpo". Non mancava certo di ironia Edoardo Sanguineti, scomparso oggi 1 a 79 anni in ospedale dopo un malore che lo ha colpito nella sua casa di Genova, né di culto della parola fra gioco e radice etimologica. Con lui se ne va uno dei protagonisti del dibattito sulla poesia italiana del ’900, che ha contribuito al tempo stesso a demolire e innovare, e del confronto culturale italiano. Poeta tra i fondatori del Gruppo ’63 e dell’avanguardia letteraria italiana, docente di letteratura italiana in varie università italiane, saggista (innovativi i suoi saggi su Dante e Gozzano), mattatore e drammaturgo. Un’attività poliedrica che sconfinava spesso in battaglie e polemiche politiche, poi l’impegno in prima persona fino a ricoprire diversi ruoli tra cui quello di parlamentare indipendente per il Pci tra il 1978 e il 1983.
Nato a Genova nel 1930 ma formatosi a Torino, Sanguineti inizia giovanissimo a interessarsi alla letteratura e all’arte e durante l’università, frequentando i corsi di Giovanni Getto nei primi anni ’50 inizia anche la stesura del suo poema più famoso, Laborintus. L’esperienza sperimentale e lo studio accademico saranno sempre due attività parallele di Sanguineti - un’attività che lui stesso definì negli ultimi anni come di "chierico organico", nella necessità di sgretolare dall’interno il sistema - che proprio con la tesi di laurea getta le basi per alcuni dei suoi lavori critici più importanti e controversi, quelli sul Realismo di Dante e sul Dante Reazionario come recitano t titoli di due suoi studi che sarebbero poi seguiti a quegli anni.
Sotto il segno di Dante è la sua ricerca formale come poeta per il Laborintus, che pubblicherà nell’anno della laurea grazie all’interessamento di un altro nume tutelare della letteratura italiana, Luciano Anceschi. Quando quest’ultimo fondò, proprio quell’anno, la rivista Il Verri, invitò Sanguineti a unirsi alla redazione dove conobbe Elio Pagliarani e Antonio Porta, gettando le basi di un rapporto che porterà alla pubblicazione dell’antologia de I novissimi. E’ con gli autori dell’antologia, che uscì nel 1961 - fra questi c’erano anche Alfredo Giuliani e Nanni Balestrini - che Sanguineti si inserisce nel novero di coloro che gettano le basi per un ampio movimento di ridiscussione, critica e destrutturazione dei linguaggi della letteratura e dell’arte e che vide nel Gruppo ’63 (l’anno in cui il gruppo si riunì, a Palermo) e più in generale nel movimento della Neoavanguardia gli elementi che hanno segnato e orientato, tra entusiasmi e contestazioni, un intero decennio della vita culturale italiana.
Con la sua vasta produzione poetica - che dopo l’esordio continuò con molti volumi tra cui Triperuno (1964), Wirrwar (1972), Postkarten (1978) - Sanguineti cercò sempre di sviluppare forme letterarie coerenti con gli assunti di una letteratura che si faceva ideologia sistematica e visione complessa della realtà, un disegno di rappresentazione del mondo contemporaneo che sapesse seguirne il caos, il disordine e al tempo stesso, dantescamente, restituirne la struttura attraverso una rappresentazione linguistica della "palus putredinis", la palude del mondo contemporaneo.
Ai richiami psicoanalitici che lo portavano a mettere in scena anche un disagio psichico individuale (evidente anche nella sua opera di narratore a aprtire dal suo romanzo più famoso, Capriccio italiano, del1963) corrispondeva la volontà di inserire questa crisi individuale in un esaurimento storico della società capitalista. Da qui la necessità di tenere ferma la barra ideologica, l’analisi del reale secondo la lezione di Marx, principalmente, e la incessante militanza intellettuale che ne ha fatto una delle figure di riferimento della seconda metà del ’900.
Se l’attività poetica è andata avanti per cinquant’anni (del 2004 è l’opera antologica Mikrokosmos), con lo scioglimento del Gruppo 63, nel 1969, inizierà un periodo più intenso di impegni sia accademici che politici. Dopo viaggi e trasferimenti sarà Genova, la sua città natale, il luogo che lo vedrà protagonista, durante gli anni Settanta, sia con la cattedra di Letteratura Italiana, sia con l’impegno al consiglio comunale che con l’attività di pubblicista per molti quotidiani, primo fra tutti L’Unità. Crescerà la volontà di coinvolgimento nelle questioni sociali fino all’elezione come parlamentare indipendente nelle liste del Pci tra il 1979 e il 1983. L’attività politica va avanti fino agli ultimi anni (nel 2006 e 2007 l’impegno durante le primarie per il candidato sindaco di Genova), l’esperienza universitaria finisce nel 2000 ma Sanguineti continua la sua intensa attività di studioso, critico militante, di poeta e narratore a cui non mancano anche le collaborazioni con musicisti importanti (suoi i libretti per le opere di Luciano Berio), scritture per il teatro - del quale predilige l’aspetto clowneristico, satirico.
Forse proprio il teatro è una delle chiavi per rileggere per intero la sua figura istrionica, acuta, dotta ma capace di graffio e spiazzamenti intellettuali. Sanguineti è stato una personalità eclettica e pirotecnica. Pacato, rassicurante, legatissimo alla moglie, sempre elegante, quasi "borghese" - Inge Feltrinelli raccontò del contrasto, a una festa in villa, tra il poeta genovese in cravatta con figli e signora e l’autore beat Ginsberg che usciva nudo dalla piscina. Era anche un’intelligenza fervida, inquieta, capace di ironie taglienti e provocatorie come quando, nel 2003, polemizzò contro Silvio Berlusconi al Campiello o, nel 2006, contestò gli studenti di Tien an Men accusandoli di essere dei "ragazzetti innamorati del mito della Coca Cola. Persona estremamente affabile e gentile, era capace di confrontarsi con i molti linguaggi della contemporaneità, anche con autoironia: superò i confini degli addetti ai lavori quando accettò di posare per una nota marca di jeans sotto lo slogan "Poeta in Carrera", spiazzando in questo caso i suoi compagni di militanza con uno sberleffo, cosa che forse amava di più.
Oltre quella intellettuale, sembrava animato da una passione comica, dietro gli occhi a fessura luminosi e a cui prestava quella sua faccia un po’ così, quasi da maschera teatrale spigolosa e cubista. Passione e ideologia, per rubare le parole a Pasolini, che a Sanguineti non sono mai mancate, fino all’ultimo giorno della sua vita.