A ruota libera

ISTRUZIONE SCOLASTICA E DISABILITA’

ISTRUZIONE SCOLASTICA E DISABILITA’

30/06/2010


di
Chiara Ursino -

La realtà scolastica italiana si deve confrontare sempre più con la presenza di alunni che esprimono bisogni educativi speciali, ossia individui che presentano una qualche difficoltà, molto spesso non certificata, e che richiede un’attenzione particolare da parte dell’istituzione scolastica. La persona con diverse abilità ha il diritto di frequentare le istituzioni scolastiche di ogni ordine e grado (art. 12, L. 104/92). E’ impensabile una didattica speciale per l’integrazione se non si conoscono il funzionamento, le caratteristiche di apprendimento e di relazioni emotive dell’alunno diversamente abile. L’integrazione è una scelta irreversibile. La scuola è solo una fase della vita, ma di fondamentale importanza. (legge 104, art. 12 – 17). Competenza necessaria all’insegnante specializzato oltre che al resto dei docenti, è quella di comprendere “l’ alunno con bisogni educativi speciali”. Ogni alunno, infatti, “funziona” a suo modo, basti pensare a un alunno con disturbo dello spettro autistico. Per una vera integrazione ci deve essere conoscenza, quindi bisogna entrare in relazione con… L’integrazione scolastica delle persone con disabilità nelle scuole ha richiesto, da parte dell’amministrazione, uno sforzo economico non indifferente legato soprattutto all’istituzione dell’insegnante su posto di sostegno, il quale deve avere delle competenze specifiche, per aiutare la persona a scoprire le proprie potenzialità e metterle in atto. Il gran gioco dell’integrazione, dell’inclusione, dell’accoglienza e dell’equità è reso sempre più complesso da un aumento reale dell’eterogeneità delle situazioni degli alunni e delle loro condizioni di vita ed è minacciato dalla direzione che hanno preso le politiche scolastiche governative. L’integrazione deve basarsi sul rispetto e la valorizzazione della diversità della persona; persona non solo portatrice di bisogni ma anche di risorse positive. Anzitutto è da chiarire che, dal punto di vista dell’azione educativa, prima tappa che la scuola deve compiere, è l’analisi e la conoscenza delle potenzialità del soggetto che ne è portatore e la definizione dei suoi "bisogni educativi". Gli alunni con bisogni educativi speciali hanno bisogno, infatti, di interventi individualizzati, ritagliati accuratamente in relazione alla loro situazione di difficoltà e ai fattori che le originano o/e le mantengono. Con ciò non si deve intendere di ridurre le capacità e limitare ulteriormente le possibilità dell’alunno, come spesso accade, ma tenere sempre presente le possibilità e di mettere in atto delle strategie per favorire un incremento delle stesse. La gran parte degli insegnanti di sostegno - il numero è tra l’altro nettamente inferiore alle necessità - non hanno alcuna preparazione specifica, di conseguenza gli alunni, raramente, riescono ad avere un reale beneficio. Ci si appella alle Istituzioni e in particolare al Ministero dell’Istruzione a prendere i necessari e dovuti provvedimenti per far sì che la scuola diventi davvero un diritto di tutti. Ma ciò, per mia esperienza, non accade certo per la presenza di un insegnante “speciale”, perchè si crea nella scuola e in particolare nella classe, un distacco da parte degli altri componenti. La persona con bisogni educativi speciali viene vista come un individuo “diverso”, incapace anche di strutturare una relazione con un coetaneo, per cui gli altri, invece di avvicinarsi, si allontanano. In questo senso si può dire che si assiste a una finta integrazione. Non bisogna dimenticare che, una buona qualità di integrazione scolastica, è anche qualità della vita. Integrazione vuol dire, innanzitutto, partecipare alla vita della classe, della scuola, tenendo conto della particolare situazione in cui l’alunno si trova. Devono essere messi a disposizione tutti gli ausili di cui l’alunno necessita: l’insegnante di sostegno, l’assistente e/o l’educatore. Mi permetto di definirla finta integrazione, perché non vi è una collaborazione reale con tutti i docenti e tra i docenti. Quando in una classe è presente un alunno che non rispecchia i normali canoni di apprendimento viene, generalmente, lasciato indietro, perché considerato soggetto che impedisce il normale apprendimento - andamento didattico dell’intera classe. Proviamo ad immaginare cosa succede quando è presente un insegnante di sostegno: l’alunno viene subito etichettato come “diverso”, di conseguenza come soggetto a parte, non pienamente appartenente alla classe e da non seguire perché ha la propria insegnante e un programma diverso. Questo non solo da parte dei docenti, ma anche dai compagni stessi che, non essendo preparati a sapersi porre o non sufficientemente sensibilizzati, non se ne interessano; è più facile per loro ignorarlo che provare a relazionarsi. A me fin dalle scuole elementari, mi è stata assegnata una insegnante di sostegno, perché presento un grave deficit motorio. Posso dire, per quanto mi riguarda, che l’insegnante “speciale” ha intralciato il mio percorso formativo, a tal punto da ridurre notevolmente il mio apprendimento, avendo un PEI (Piano educativo individualizzato) che era realizzato secondo dei criteri “assurdi”, senza considerare quelle che erano le mie reali capacità; sottovalutandomi in buona sostanza . La frase tipica che mi sentivo ripetere continuamente era: ” […] ma sì tanto, cosa vuoi fare, più di tanto non riesci a fare […]”, creando così un divario enorme tra me e i miei compagni e in me nascevano sempre più sentimenti di impotenza, pensando che ciò che affermava l’insegnante era giusto e vero. Io sentivo di potere e volere fare di più, ma ero come prigioniera e limitata. Questa situazione diventava per me sempre più pesante, togliendomi la voglia di studiare e di frequentare la scuola, rafforzando il senso di persona incapace, inferiore, per cui ,a un certo punto del mio percorso, precisamente a metà del primo anno di scuola superiore, decisi di rinunciare all’insegnante. Non è stato per nulla facile, sono andata contro tutto e tutti, preside, insegnanti, equipe psicosociopedagocgica, ma alla fine ho raggiunto il mio obbiettivo con mia grande soddisfazione. Finalmente me ne ero liberata e potevo dimostrare quanto valessi. Posso assicurarvi che da quando ho fatto questa mossa strategica tutto è cambiato. La mia è stata una grande vittoria! Lo studio per me è diventato più piacevole e ho raggiunto traguardi elevati, scoprendo in me delle capacità tenute nascoste per molto tempo.
In conclusione, invito a chi di competenza, di valutare caso per caso, con gli strumenti adatti, prima di procedere all’assegnazione dell’insegnante, perché non basta sapere che il soggetto è disabile per decidere che necessita di sostegno; bisogna, invece, valutare le reali necessità.
 

Chiara Ursino

Commenti

marzia corrias 09/02/2013

Ho letto l’articolo pubblicato da Chiara Ursino e mi ha consolato il fatto che non solo io sto provando quello che accaduto a Chiara.Ho due figlie che frequentano le primarie ed entrambi i casi vengono considerate "diverse" rispetto alla classe, anche a me le maestre di sostegno mi ripetono la stessa frase detta a chiara :"e cosa vuol farci più o meno facciamo quello che gli altri fammo ...sà puoi cosa vuole con queste difficoltà non si può fare altro....." con la premessa che le mie due bimbe hanno problemi diversi. Io chiedo a qualcuno che sà comè poter rinunciare a questo "diritto" che nel mio caso ha fatto più danni che mai ?

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