20/09/2010
di Chiara Urisino - Domenica 19 settembre, come tutti gli anni in occasione dei festeggiamenti in onore di Maria SS Addolorata, a Roccella Jonica, la mia famiglia, insieme a parenti ed amici, si ritrova per trascorrere insieme questi momenti particolari di religiosità. Essendo la mia una famiglia molto conosciuta a Roccella, nel pomeriggio ci hanno raggiunto delle persone, per bere un caffé. Dopo i rituali saluti ci si siede tutti al tavolo, attorno al quale naturalmente, c’ero anche io. Sono una persona poco “visibile” all’esterno, perché non esco molto, ma nonostante questo abbastanza conosciuta. Quelle poco volte che esco mi rendo conto di destare curiosità e sorprendere molti. In quasi tutte le circostanze vengo identificata come la piccola di casa, o ancora peggio la persona malata, solo perché presento una qualche difficoltà di deambulazione. Di fronte a questo pregiudizio io mi sento impotente. E domenica, per l’ennesima volta, ho sentito pronunciare queste parole: “ma questa è la gemella. Ma è quella malata?!” Qualcuno sotto voce dice di sì, ma allo stesso tempo cerca delle parole per descrivere la mia intelligenza. Tutto questo è avvenuto in poco tempo e soprattutto, loro credono, in maniera discreta, perché convinti di non essere stati ascoltati da me, essendo io di spalle! Non ho osato girarmi poiché, conoscendomi, sarei andata su tutte le furie ed avrei perso quello che è il mio stile di persona educata e delicata, però posso assicurarvi che trattenermi è stato davvero difficile! Quest’ultimo episodio, visto che non è la prima volta che mi capitano cose simili, mi ha ancora una volta confermato che, purtroppo, la concezione di persona umana nel momento in cui è legato ad una qualche particolarità, passa in secondo piano. Io ho sempre cercato di spiegare che la malattia è una condizione transitoria, che quindi passa dopo un certo periodo di tempo; di conseguenza non rientro in quella “categoria di persona”. Ricordo in una gita, al secondo anno di scuola superiore, a Gerace, mentre passavo in quelle viuzze caratteristiche, c’era una signora che vedendomi in carrozzina ha espresso ad alta voce: “uuuuuuuuuu quella ragazza è malata!” Vi riporto la mia risposta: “Aspettate signora che misuro la febbre.. In conclusione, non posso che affermare, dinanzi a situazioni ripetute di questo genere, che bisogna essere portatori di una autoironia molto forte, per potere comunicare una disabilità che piaccia!