A ruota libera

LA SESSUALITA’ “SPECIALE”

LA SESSUALITA’ “SPECIALE”

29/11/2010


 - di
Chiara Ursino
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La difficoltà di riconoscere ed accettare la sessualità delle persone disabili adulte, con compromissioni psichiche o motorie, è legata al pregiudizio sulla loro diversità. Essere “diverso” può inibire il processo di crescita individuale ed è per questo opportuno considerare come la sessualità possa favorire lo sviluppo e la realizzazione di una persona con disabilità. Spesso, la sessualità del disabile, scatena reazioni esagerate di imbarazzo e di rifiuto in chi gli sta accanto, giungendo all’oppressione e alla totale repressione dei comportamenti rilevati, come se fosse il modo più rigido ed efficace di contenere le proprie paure e il proprio disagio. La sessualità delle persone con disabilità viene vissuta come qualcosa che non “compete” loro, alla quale non hanno diritto o perché considerati troppo incapaci o perché renderebbe troppo carnale e adulta la loro immagine, che si preferisce mantenere incompleta. In questa sfera le persone con disabilità vengono viste in due modi contrastanti: angioletti, ingenui, puri, generosi, senza passioni; oppure come esseri deprivati, che esibiscono comportamenti vergognosi e che sono mossi da manie perverse e istinti “assassini”. Tali pregiudizi hanno origine da una visione della vita in cui, tra la persona con diverse abilità e gli altri, viene marcata la “diversità” e non la “differenza”. Tuttora questa tematica risulta essere un argomento difficile da riconoscere ed elaborare, si può apertamente affermare che si è ancora dinanzi ad un tabù. Fattori determinanti di questa situazione appaiono soprattutto la difficoltà a considerare l’importanza della corporeità e la tendenza ad occuparsi della disabilità solo nei primi anni di vita. La sessualità intesa come una modalità di rapportarsi con il mondo, complessa e piena di sfaccettature, fatica ad essere sufficientemente valutata in tutta la sua ricchezza e, spesso, riduttivamente, è concepita solo come uno dei suoi aspetti, quello genitale. Così diviene molto difficile pensare a sessualità e disabilità assieme, soprattutto tenendo presente la più generale difficoltà a considerare un disabile come persona adulta. Se è vero che una maggiore tolleranza è fondamentale per una integrazione reale della persona diversa, è altrettanto vero che, tale tolleranza non può e non deve maturare solo attraverso messaggi teorici, ma anche e soprattutto, attraverso il contatto quotidiano con le necessità e i desideri di chi ha difficoltà a condividere le cosiddette esperienze “normali” di vita. La persona con diverse abilità, che esprime le proprie necessità riguardo alla sessualità, cerca in primo luogo di stare meglio. Andandogli incontro e consentirgli di raggiungere un maggiore grado di autonomia comporta un riconoscimento di desideri e situazioni non sempre “tradizionali”, ma non per questo, meno significative per chi le vive. Esplorare la sessualità può essere, per una persona “speciale”, un’esperienza decisamente incerta, magari anche destabilizzante, ma importante per una più completa espressione di sé. Restare prigioniero di un mondo infantile ormai passato, ma necessario ad altri per evitare l’imprevedibilità, è un modo per la persona “speciale” di rinunciare a delle istanze costitutive della vita adulta, che non possono essere sostituite da altro, e che rendono sicuramente la vita molto più complicata, ma senza dubbio più dignitosa per una persona. Quindi, favorire la maggiore consapevolezza della propria sessualità nella persona con diverse abilità, appare fondamentale per realizzare una più proficua integrazione e convivenza sociale.
 

Chiara Ursino

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