A ruota libera

IN ATTESA DI UNA DIAGNOSI PRECISA…

IN ATTESA DI UNA DIAGNOSI PRECISA…

05/02/2011


- di
Chiara Ursino  - 


Il momento della diagnosi di una determinata patologia è molto delicato poiché significa che è arrivato un verdetto che si aspettava da tempo. Il termine diagnosi può essere inteso come momento di cambiamento per la persona interessata, sia in termini di abitudini, stile di vita, ma soprattutto dell’umore; e quindi dello status emotivo del paziente, poiché si tratta di uno modo nuovo di vedere la vita che, purtroppo, richiede uno sforzo importante da parte dell’interessato e non solo perchè costretto a intraprendere un percorso di accettazione che, se confortato da tutte le persone che lo circondano, e in primis dai medici, tutto risulterebbe più facile, ma perché entrano in gioco le risorse interne del soggetto che prima di quel momento particolare non sapeva di possedere. In altri termini, possiamo definirla come la risposta individuale alle situazioni che vedono minacciato l’equilibrio salute, la capacità e quindi la modalità di fronteggiare problemi di salute e malattia, definita coping. Ma cosa succede quando accade il processo inverso? Cioè quando non si riesce a identificare e quindi a riconoscere il problema in questione? E’ qui la parte più difficile. Purtroppo la branca della medicina generale è una di quella abbastanza delicate, in quanto oltre a richiedere una preparazione specifica nel settore, fa entrare in gioco anche una piccola parte, ma determinante, dell’essere persona, quindi tutte le caratteristiche connesse, quali sensibilità, umiltà, comprensione. Quando in un medico ciò non trova applicazione tutto si complica. Il paziente, infatti, si trova a combattere per far comprendere il suo reale status, nella speranza di essere prima o poi capito. Quando ciò non avviene non fa altro che provocare un malessere psicologico senza limite, togliendo così la spensieratezza e la lucida del paziente, facendo nascere così la convinzione che il paziente sia folle, raggirandolo con mille spiegazioni fittizie e gettando la colpa sul versante psicologico, dichiarando di avere solo la necessità di uscire, stare con amici; tutto questo avvalendosi della complicità genitoriale, spostando quindi l’attenzione sui genitori, per rendere più veritiera la propria tesi; nonostante i sintomi vengano descritti in maniera minuziosa e siano visibili anche ad occhio nudo. Se però, così non fosse, esistono tanti esami clinici per valutare la situazione; basterebbe soltanto avere la faccia e quindi l’onestà di mettere nero su bianco quello che si vede. Questo significa avere rispetto della persona! Vorrei concludere ricordando che, un buon medico, non deve mai prescindere dall’essere “umano” e quindi persona e in nessun caso calpestare la sua dignità! Il medico, infatti, lavora con e per il paziente, ciò a volte vuol dire mettersi in discussione e accettare un eventuale danno causato da un possibile sbaglio medico, perché sbagliare è umano. Purtroppo, la mia esperienza mi ha fatto maturare in questi anni la convinzione che, se ci fosse più ascolto e meno presunzione, la malattia si identificherebbe in tempi più rapidi e sicuramente affrontata meglio.
 

Chiara Ursino

Commenti

Elena Migliaccio 28/02/2011

Come sempre una combattente....... Lotta, con la forza che hai riuscirai anche in questo! Il vero ascolto produce empatia, è indispensabile per soluzioni creative....e tu ne sei piena!

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