18/09/2011
- di Chiara Ursino - GUARDA IL VIDEO - MESSAGGIO Il mondo della disabilità racchiude diversi aspetti fondamentali che risultano essere essenziali per identificare la persona privilegiata. Quello che prenderò in esame in questo articolo è un elemento “dolente”, di cui non se ne parla spesso: la Barriera culturale. Partendo dal significato etimologico del termine, ci si rende conto che, essa rappresenta un buco nero, come un qualcosa che impedisce di andare avanti, oltre. Quando si sente parlare di disabilità e di barriera, la mente percorre in modo rapido un percorso che porta a identificare la barriera con quella architettonica, quasi fosse una esclusiva delle persone “speciali”. Ma il fulcro della questione non sono le barriere architettoniche, perché quelle si abbattono, ma Chi abbatte le barriere? Quali possono essere i mezzi per abbatterle? Dunque, una barriera è la disattenzione mista all’indifferenza: disattenzione da parte degli uomini cosiddetti “normali” nei confronti di una persona che è normale quanto loro. L’handicap in generale si manifesta come una barriera per gli altri, “malati” di indifferenza! Un’altra forma di barriera può essere rappresentata dal linguaggio, dalle parole, dal senso - non senso, che porta, troppo spesso, davanti a situazioni dove ci si concentra troppo sulle chiacchiere e poco sui fatti concreti; infatti la concretezza appare una nemica giurata, quasi invincibile da abbattere. Se ognuno facesse qualcosa di concreto, progetti concreti, e se si facessero i “fatti”, non ci sarebbero più barriere. A mio avviso una delle barriere più difficili da demolire è quella di tipo culturale; purtroppo la mente è la nostra barriera più subdola. La mente con le sue multi sfaccettature ci plagia, ci inganna e spesso ci annebbia, impedendoci di vedere il bene in ognuno di noi. E’ facile nascondersi dietro la frase “è colpa di qualcuno”, perché è proprio nel momento stesso in cui la pronunciamo che stiamo ergendo un’altra grande barriera, anzi la barriera delle barriere: l’inumanità. Essa è il tratto distintivo della violenza culturale sulla natura e la perdita dello sguardo sull’altro, sulla persona che ci sta accanto, sulla creatura naturale; è il trionfo dei concetti sugli affetti. I nemici siamo noi, tutti bravi ad evitare di puntare il dito e dire “è stata colpa mia, è stata una mia distrazione”. Se ogni volta che si costruisce qualcosa, si prendesse sin dall’inizio in considerazione i bisogni di tutti non ci sarebbero sprechi, rispondendo così alle diverse esigenze in maniera più diretta, evitando la costruzione di ulteriori barriere. Fermarsi davanti ad una barriera architettonica è di fatto come erigerla e consolidarla. Una barriera si abbatte gridando, facendoci riconoscere come persone, persone abili, nella maggior parte dei casi più abili di quelli “normali”. Noi abbiamo bisogno di stare nel mercato del lavoro e non nel mercato della solidarietà. Abbiamo bisogno di essere ascoltati, prestando attenzione a non perdere il senso del senso della vita. Nessuna barriera tecnica sarà mai abbattuta se non verrà abbattuta la fonte delle barriere che è dentro ciascuno di noi.