05/06/2011
- di Chiara Ursino - Sabato 4 giugno, presso il convento dei Minimi di Roccella Jonica (R.C.), si è svolto un interessante convegno sul tema: “Il bambino dislessico. Scuola - Famiglia e Società” dedicato a uno dei disturbi specifici dell’apprendimento più comuni tra i bambini. La giornata di studio è stata promossa dalla F.I.D.A.P.A. con il patrocinio del Comune di Roccella Jonica. Hanno relazionato la dottoressa Caterina Coluccio, neuropsichiatra infantile; la dottoressa Sandra Polimeni, psicologa; e, infine, il professore Cesare Fregola, insegnante presso l’università Roma Tre. Di seguito riporterò una sintesi dell’intero dibattito. La presidente della F.I.D.A.P.A, Caterina Franco, nel dare inizio alla manifestazione, ha ricordato che la stessa nasce come momento di riflessione e di approfondimento sui disturbi specifici dell’apprendimento, che possono costituire una limitazione importante per alcune attività della vita quotidiana; la dislessia ha aggiunto, è un disturbo che si manifesta con una difficoltà nell’elaborazione del linguaggio. La persona dislessica possiede un’organizzazione mentale particolare, è molto spesso dotata e produttiva, ma con una modalità di apprendimento diverso rispetto a bambini che non presentano tale difficoltà. Il soggetto dislessico, infatti, possiede la capacità di creare immagini mentali rapide, di pensare in modo evolutivo e di valutare ogni situazione. Dopo tale premessa, la parola è passata alla dottoressa Caterina Coluccio che ha delineato i caratteri essenziali del disturbo partendo proprio dalla definizione clinica. La dislessia è una difficoltà che riguarda la capacità di leggere e scrivere, in modo corretto e fluente. Tale disturbo è determinato da un’alterazione neurobiologica, che caratterizza i disturbi specifici dell’apprendimento. In secondo luogo ha focalizzato la sua attenzione su quali sono i segnali che vanno analizzati con il personale competente e infine ha spiegato quali sono i criteri di valutazione per riuscire ad identificare la problematica. Successivamente è stato il turno della dottoressa Sandra Polimeni che ha sottolineatol’ importanza del rapporto scuola- famiglia in cui vive il bambino dislessico. L’OMS, oggi, rispetto al passato, riconosce la dislessia come disabilità. In passato, infatti, il bambino che ne era portatore veniva identificato, etichettato come svogliato, senza considerare la presenza di una qualsiasi difficoltà. Anche se sono stati fatti dei passi avanti nel riconoscere questa problematica, rimane come una sorta di situazione subdola che fatica ad essere identificata e di conseguenza la diagnosi, spesso, è tardiva. Il bambino non riconosce le parole, è come se le vedesse per la prima volta; non è distratto o svogliato, ma non fa altro che manifestare una serie di difficoltà; infatti ha fa fatica a riconoscere il significato delle parole, anche nelle note musicali e nell’apprendere una lingua straniera. Al disturbo dislessico possono essere associati anche quelli d’attenzione e iperattività. Molto spesso si innescano anche disturbi di tipo psicologico quali, ansia e depressione, dettate dal fatto che, nonostante gli sforzi del bambino, non ci sono i risultati attesi. In tal modo si verifica da parte sua, un abbassamento dell’autostima e un rigetto della scuola. La scuola dunque, ha un ruolo importante, perché deve valorizzare il bambino, prendendo in considerazione i punti di forza e fornendo gli strumenti adeguati per un apprendimento di successo. La legge n. 170 dell’ 8 ottobre 2010 riconosce la dislessia come disturbo di apprendimento e garantisce il diritto all’istruzione; favorisce il successo scolastico, anche attraverso misure didattiche di supporto, garantendo una formazione adeguata e promuovendo lo sviluppo delle potenzialità. Naturalmente tutto ciò è possibile grazie anche alla preziosa e costante collaborazione da parte della famiglia del bambino. In conclusione ha preso la parola il professore Cesare Fregola, che ha preso in esame un concetto molto complesso, che racchiude tutto il fulcro del dibattito; ovvero la funzione dell’apprendere nella società della conoscenza, cioè andando ad esaminare ed osservare, come l’evoluzione dei ruoli educativi si è trasformata e si trasforma, e come alcuni saperi e competenze si intasino, non solo nella dislessia, ma in tutto ciò che attiene le difficoltà di apprendimento. I ruoli educativi hanno da conciliare i bisogni del contesto sociale, culturale con quelli della persona, considerando anche l’innovazione del tempo presente. Occorre, quindi, stabilire una modalità di comunicazione all’interno di una relazione di rete. Solo così si può dire di lavorare bene per potere fronteggiare qualsiasi difficoltà, ponendo le basi per un reale successo didattico.