A ruota libera

ESSERE "DISABILI" NEL CONTESTO CALABRESE

ESSERE "DISABILI" NEL CONTESTO CALABRESE

25/03/2012


- di
Chiara Ursino  - 


Il termine “inclusione sociale” non si presta ad interpretazioni univoche, per questo è opportuno convenire su una sua definizione, adottando il seguente significato: assumere l’obiettivo di favorire una migliore e piena integrazione della persona nell’ambito sociale ed economico nel quale si svolge la sua esistenza. La riduzione del disagio e la promozione dell’inclusione sociale sono dunque da considerarsi aspetti integranti dei processi di sviluppo territoriale ed economico nel quale si svolge la sua esistenza. E poiché non ci sono solo condizioni soggettive all’origine dell’esclusione (un handicap, una dipendenza, un debito con la giustizia, il rifiuto di determinati lavori) ma anche culture e contesti che generano esclusione sociale, è necessario che si realizzi la filiera dell’integrazione: politica economica, sociale, mediante politiche di inclusione. Quanti e quali sono i diritti per i quali le persone con disabilità ricevono risposte appropriate e quanti sono disattesi, sopiti o negati? È importante, dunque, individuare gli indicatori giusti e svolgere un’azione di monitoraggio continuativa e attendibile.
Un diritto negato è fonte di discriminazione. Ottenere il rispetto di un diritto è una conquista a favore della dignità della persona. Una lettura errata della crisi economica che ha investito l’Italia, fa intravedere solo rinunce. La persona con disabilità non intende rinunciare al proprio diritto di vivere e progettare la propria storia di vita, quindi, la parola ai diritti.In molti casi la situazione di disabilità impedisce alla persona di svolgere da sola atti indispensabili e, in assenza di servizi alla persona appropriati, tale situazione diventa causa di dipendenza dalla famiglia o motivo di segregazione in una residenza assistita. Paradossalmente il ricovero in una struttura è concepito come luogo in cui la persona ha il diritto di ricevere assistenza anche 24 ore su 24, mentre l’idea che una persona abbia la necessità in casa propria di assistenza personale 24 ore su 24, fa subito scattare la molla dell’impossibile e del non sostenibile. Altro paradosso, mentre nelle strutture residenziali è scontato che il servizio deve essere garantito con continuità, a domicilio della persona è considerato periodico e legato alle disponibilità economiche. Con i fondi della non autosufficienza, l’assistenza domiciliare, o domiciliare integrata, in Calabria è offerta, al massimo per 6/8 ore la settimana. Chiaramente l’assenza di un’assistenza adeguata ricade sulla famiglia e se questa non ce la fa, chiede il ricovero. E il ricovero in RSA in Calabria costa 135,00 euro al giorno a persona, per i ricoveri fuori Regione i costi lievitano maggiormente. Sono rette pesanti, sia al livello economico, sia come ricaduta sulle persone ricoverate, perché condannate all’esclusione sociale. Non favorire interventi troppo sanitari e assistenzialistici, forse, in alcuni casi, è necessario, ma sono davvero pochi; per gli altri, per tutti gli altri, il luogo comune deve essere la “casa”, la famiglia di origine o la sua nuova famiglia, o in alternativa la casa famiglia che, comunque, è fotocopia del modello sociale della famiglia. La casa, quindi, non solo come il luogo in cui si mangia e si dorme, ma il luogo in cui si vive, si ama , si soffre, si progetta, si fanno scelte; insomma non si è ospiti a vita, ma si abita e si mettono radici. In alcuni casi, servizi diurni socio-sanitari, o sociali di sollievo alla famiglia, periodici o continui, sono necessari, ma non devono rappresentare l’”alternativa” alle carenze di altre alternative quali l’istruzione, la formazione professionale, l’inserimento lavorativo, ecc. Sono da considerarsi alternativi ai ricoveri in caso di situazioni di disabilità psichiche molto complesse, o sostegni riabilitativi periodici per facilitare percorsi di autonomia personale e orientamento al lavoro.Considerando che, il diritto di vivere e progettare la nostra storia di vita, comporta la partecipazione attiva nella società, attraverso l’istruzione, il lavoro, le attività culturali, il tempo libero, le vacanze ecc., l’assistenza alla persona si incrocia con altri servizi e opportunità. I servizi devono essere garantiti in base ai bisogni e con continuità. Basta con la politica del CLONARE, come se tutte le persone con disabilità avessero stessi limiti e stessi bisogni. Ad ognuno il servizio giusto! Le decisioni e le strategie politiche che riguardano la disabilità devono essere condivise. Eventuali tagli non possono incidere sui diritti. Esistono altre voci sulle quali si possono ridurre i fondi, limitando i danni, ad esempio sui contributi a pioggia o su alcune attività di promozione che potrebbero essere sponsorizzate da altri Enti; ma anche riducendo i ricoveri assistenziali all’effettivo bisogno. Ogni azione deve essere finalizzata a favorire la piena partecipazione delle persone con disabilità nel contesto sociale, culturale, politico ed economico.

 

 

Chiara Ursino

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