A ruota libera

LA DIPENDENZA DAL GIOCO D’AZZARDO

LA DIPENDENZA DAL GIOCO D’AZZARDO

24/11/2012



- di
Chiara Ursino -  


Una volta esistevano le schedine, il totocalcio, il bingo e il gratta-e-vinci. Ora invece le slot-machine vanno per la maggiore e, sparse per l’Italia, sono
ben quattrocentomila. Un numero impressionante se si pensa che dietro ai numeri ci sono migliaia di famiglie rovinate. Sempre più giovani, adolescenti, persone sole, gente in difficoltà economica si aggrappano ai videopoker spendendo tutto quello che hanno. Sono tutti illusi o malati di gioco? Il gioco compulsivo è una malattia. Tradizionalmente il concetto di dipendenza è stato limitato all’alcool o alle droghe ma da una decina d’anni si è allargato a quei comportamenti compulsivi proprio come il gioco d’azzardo o in ultimo, navigare in internet. Si definisce gioco d’azzardo quell’attività ricreativa che ha uno scopo (ottenere un premio in denaro o altro bene), include il rischio (denaro o altro bene), e porta, non sempre, ad una vincita (spesso non dovuta alla bravura del giocatore ma al caso)
In Italia questo disturbo è definito “GAP”, ovvero gioco d’azzardo patologico ed è considerato una vera e propria dipendenza, per l’euforia, l’eccitazione, il senso d’impotenza, molto simile a quelle che provano i tossicodipendenti e così come questi, anche i giocatori d’azzardo, se privati, vivono vere e proprie crisi di astinenza, con sudorazione, tachicardia, nausea, vomito, senso di soffocamento, fino ad vere crisi d’ansia patologica, che rasentano, persino, le fobie. Probabilmente esiste una predisposizione alla dipendenza generata da fattori biologici, ambientali, psicologici che possono sviluppare più facilmente dapprima un abuso e poi una dipendenza. Questa evoluzione, nella maggior parte dei casi, è subdola e progressiva, manifestandosi "senza che ce se ne accorga". L’esperienza dell’azzardo è spesso descritta come "piacevole" o addirittura "esaltante". Il gioco d’azzardo, quando diventa patologico, si può considerare una vera e propria sindrome compulsiva, un comportamento ripetitivo atto a frenare l’ansia. Il giocatore d’azzardo non riesce a resistere all’impulso di non giocare, pena il rischio di soffrire d’ansia o di quelle malattie psicosomatiche che sono espressione dell’ansia stessa, con disordini, fino alla depressione e in rari casi, comportamenti antisociali, compresa la tendenza al suicidio. Il gioco d’azzardo patologico, come tutte le dipendenze, è una malattia cronica, che richiede un intervento terapeutico strutturato. L’obiettivo della cura deve essere dapprima l’astinenza dal comportamento e in seguito il raggiungimento di una condizione di "sobrietà", cioè un cambiamento dello stile di vita che permetta di essere più forti verso le sempre possibili ricadute. La cura dal gioco d’azzardo, sovente, impegna anche la famiglia e impone, al malato, tutta quella collaborazione e la consapevolezza di essere in uno stadio patologico che richiede un periodo di cura protratto nel tempo. Ha fatto notizia il caso di quella barista di Cremona che ha coraggiosamente spento le slot che erano nel suo bar perché non sopportava più di vedere la gente rovinarsi. A lei questo gesto costerà caro perché così facendo, dovrà rinunciare ad incassi di circa 40 mila euro al mese, di cui il 6% andava a lei. Quasi tutti i baristi sono invogliati a installare le macchinette da cui arrivano gli incassi che permettono di tenere aperto il bar. Alcune concessionarie offrono persino un pacchetto che prevede anche l’installazione gratuita di telecamere di sorveglianza , mega televisore e impianto d’allarme. Anche lo stato italiano ha la sua bella fetta di introiti a cui non intende rinunciare. L’Italia è il maggiore mercato europeo per il gioco d’azzardo legale. La pubblicità riveste un ruolo importante, perché attraverso il messaggio che lancia, imprime la curiosità e spinge chi è già soggetto debole a perseverare sulla strada della rovina. Gli spot televisivi sono un vero e proprio bombardamento a livello psicologico. In tempi di crisi una pubblicità simile è contraddittoria e controproducente per i bilanci familiari. Non è rovinando la gente che si possa giustificare questa strategia commerciale. A mio avviso il governo ha il dovere di preoccuparsi di più per questa, che è diventata, una vera e propria questione morale. 

Chiara Ursino

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