27/08/2013
- di Chiara Ursino - Questo tipo di fenomeno è sempre attuale, quello che può cambiare sono le modalità di prevaricazione. Le vittime sono sempre le fasce più deboli, poiché rappresentano il bersaglio più facile da attaccare. Generalmente, la vittima è passiva, a volte perché non è pronta ad affrontare la situazione, perché colta di sorpresa e sprovvista delle strategie di difesa, e specie perché gli episodi bullici sono ripetuti in maniera sistematica, senza lasciare alla vittima il tempo di “respirare” e di pensare e di conseguenza mettere in atto strategie difensive a suo favore. Il fatto che la vittima non si difenda, sovente si pensa che sia priva di carattere, per tale motivo merita questa prevaricazione. Per esperienza personale posso affermare esattamente il contrario. Ho vissuto in prima persona atti di bullismo, proprio nella fase pre-adolescenziale, più precisamente per tutto il periodo della scuola media. Come ho già detto, la vittima è prescelta dal prevaricatore; essa infatti, deve avere un qualche problema o diversità o semplicemente essere di carattere tranquillo, per divenire una preda preferita. Nel mio caso, tali requisiti, affinché si possa parlare di vittima, erano presenti tutti, ma in modo particolare era presente il mio corpo(im)perfetto, cioè la mia disabilità fisica, che per me ha rappresentato un limite, non solo in termini di inclusione all’interno della classe, ma anche in di difesa personale, proprio perché non potevo difendermi fisicamente, spostandomi o correndo, proprio perché non mi posso muovere autonomamente; al contrario devo avere un supporto in ausili o persona, per poter effettuare uno spostamento. Questo, per il bullo, ha rappresentato un punto di forza, in quanto ero statica, quindi, potevo essere vittima in ogni momento della giornata. E’ pur vero che mi difendevo verbalmente, urlando, per cercare di fermare l’atto di prevaricazione, che consisteva in lancio di oggetti di ogni tipo e offese altrettanto pesanti, verbalmente. Tutto questo si verificava quotidianamente, sotto gli occhi dei docenti, compreso quella di sostegno, che non attivavano nessuna strategia di intervento per bloccare l’episodio, anzi, continuavano la lezione, come se nulla fosse. Solo quando, qualche mio compagno “salvatore”, decideva di entrare in azione per difendermi, creando caos nella classe, interrompendo la lezione, allora il docente decideva di annotare l’accaduto sul registro. Quando, più volte, ho cercato di esporre il mio disagio al docente mi è stato risposto: ”stai tranquilla, non preoccuparti, tu sei più intelligente di loro e capirai. Andare a scuola, per me, era diventato un incubo, anche se avevo i miei compagni, per lo più maschi, che mi difendevano sempre. Questa esperienza, durata tre anni, del tutto negativa, mi ha permesso di crescere più in fretta e di farmi “le ossa”, per fronteggiare la vita di tutti i giorni, ma allo stesso modo, mi ha fatto comprendere quanto è importante il ruolo dell’insegnate che, non deve essere solo un soggetto, con il dovere di trasmettere nozioni agli studenti ma, soprattutto, di formarli, trasmettendo loro i valori, che sono alla base dell’esistenza umana, come il rispetto delle regole, la reciprocità e il valore della persona stessa, quale soggetto unico e irripetibile. Solo riuscendo a fare ciò, si può affermare, di essere un insegnante modello, cioè una persona che cammina al tuo fianco e ti sostiene nel percorso di formazione di crescita personale.