A ruota libera

La nostra terza gamba non ci rende inferiori o incapaci. Solo diversi

La nostra terza gamba non ci rende inferiori o incapaci. Solo diversi

02/03/2014


 

Penso: finalmente una svolta nella mia vita! Anche se lo ammetto: in cuor mio mi sembrava troppo bello per essere vero. Dopo qualche mia titubanza interiore silenziosa, del tipo “ma figurati se prendono me vedendomi”, mi sono detta: “voglio passare un pomeriggio alternativo” e decido comunque di presentarmi, accompagnata da mia madre e con la “mia terza gamba”, in modo da  apparire quasi normale, diciamo così. In modo, insomma, da non dare troppo risalto alla mia fisicità.

Raggiunto il locus scopro di non essere la sola ad essermi presentata: con me altre ragazze speranzose. Arriva il mio momento. Durante il colloquio avverto un senso di imbarazzo da parte degli esaminatori, celato dietro ai complimenti per il mio curriculum. A un certo punto mi viene posto un interrogativo preciso, che potrebbe essere del tutto normale ma vi assicuro, così non è: «Lei come si relaziona con i ragazzi?». Rispondo in modo molto semplice: «Non posso rispondere a priori, poiché non conosco i ragazzi. E se non conosci una persona non puoi aiutarla», sottolineando che il mio lavoro non è standard e quindi potrò scoprirlo solo “work in progress”.

I sottotitoli di questa domanda erano ben altri. Quali? Qualcosa tipo “Cosa sarebbe in grado di fare”: tutti sottintesi che giravano intorno alla mia fisicità. Quarantotto ore dopo ricevo una telefonata da uno degli esaminatori, che mi espone le motivazioni della mia non assunzione. «Il suo colloquio non è andato male. Anzi, tutt’altro: lei ha un curriculum perfetto, ha competenza e molte abilità comunicative, ma comprende bene che per la struttura per cui è richiesto l’educatore, trattandosi di una struttura psichiatrica, con ragazzi difficili da trattare e per questioni di sicurezza è necessaria la fisicità, perché i ragazzi possono avere qualche crisi. Ci dispiace, la terremo presente per un lavoro più leggero».

Ora io dico: ma la cosiddetta persona normale non corre gli stessi rischi miei? L’educatore professionale è un operatore sempre a rischio, a prescindere dalla postura eretta o meno, difatti abbiamo l’obbligo dell’assicurazione da parte delle ASL, perché nessuno può prevedere nulla. Il lavoro dell’educatore, caro signorino, forse non lo sai, è di equipe. Il che significa che è un lavoro di squadra con la presenza di assistente sociale, psicologo, psichiatra, infermiere. Quindi, carissimo, la responsabilità è di tutti. A questo punto mi fa piacere dirti che non ti sei reso conto, ma la mia particolare fisicità rimane, non l’ho affittata. La prossima volta la ritroverai, non è una situazione che ho voluto io. Non è una situazione che io posso cambiare. Aggiungerei purtroppo.

Non posso però non ricordare, a te e a chiunque incontrerà me o altre persone come me sulla propria strada, che essere persone con disabilità significa essere diversi, non inferiori.

 
 

 

Chiara Ursino - www.scirocconews.it

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