Non dubitare mai di se stessi.
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INTERVISTA: Incontro con Monsignor Giancarlo Maria Bregantini
27/03/2008
Di
Giovanni Certomà
1. Monsignor Bregantini, prima di essere ordinato vescovo della diocesi Locri – Gerace il 7 aprile del 1994, lei conosceva già la Calabria per il periodo (1976-1986) trascorso nella diocesi di Crotone. Durante quegli anni ha fatto il docente di Storia della Chiesa nel Pontificio Seminario Teologico Regionale di Catanzaro; l’insegnante di religione nell’Istituto Nautico di Crotone; nonché il cappellano del carcere di quella stessa città; condividendo anche le sofferenze e i digiuni patiti dagli operai della “Cellelusa calabra”. Di quelle esperienze, quale ricorda con maggiore intensità?
“Tutte sono state belle. Molto devo a Monsignor Agostino che ha guidato il mio cammino pastorale in diocesi. Mi ha ordinato diacono nel 1976, sacerdote nel 78, e infine nel 94 mi ha ordinato vescovo. La gratitudine per le esperienze fatte è veramente grande, soprattutto il carcere. Il carcere mi ha segnato profondamente anche a livello spirituale; perché mi ha costretto a ripensare sul tema del bene e del male; il rapporto con chi sbaglia, la tematica della misericordia; il problema dell’emarginazione; il rapporto tra chi soffre e la società che non vuol vedere chi soffre. Ovviamente, mi sono rimaste nel cuore anche le fabbriche, anche se oggi Crotone è una città diversa. I giovani e l’insegnamento, realtà preziosa che oggi utilizzo per parlare ai giovani, pensandomi come se fossi allora docente. Devo dire grazie a Crotone”.
2. Qual è stata la prima sensazione che ha ricevuta dalla Diocesi che le è stata affidata nel 1994?
“La marginalità della Locride. L’essere così lontana da tante strade, ferrovie. Nella Locride si coglie una realtà che ha avuto una storia di dolore e di fatica; ma si percepisce anche la cordialità, l’affetto. Di striscioni me ne ricordo uno di due ragazze che sul Poggiolo mi hanno scritto “facci sognare”. Sentirsi subito accolti, amati, sostenenti. Anche l’episodio della finta bomba di Gerace alla fine è risultato positivo, perché io ho difeso questa città, questa terra, e questo mi ha reso vicini i cuori di tutti”.
3. Pensava di trovare una realtà sociale più complessa e difficile di quella che poi negli anni si è concretamente rivelata?
“Non credo! Non credo! Un po’ meno di paura, perché all’inizio avevo un po’ di paura per tante cose: di non essere all’altezza, di non capire, di non essere capito. Lentamente queste paure sono svanite, la serenità è tornata, la normalità è diventata l’aiuto per tutti i giorni e questo mi ha dato la possibilità di capire. Realtà complessa lo è, ma io distinguo tra complesso e complicato. Complesso sono tanti fili insieme, complicato quando uno tira il filo in modo sbagliato e si fa un nodo. La Locride non è una realtà complicata, è complessa. Dipende da come riusciamo a tirare i fili. Bisogna trovare il filo giusto e il modo giusto per tirarli”.
4. Da persona concreta, ha subito compreso che l’origine del malessere della Locride è la disoccupazione. Da li si è dispiegata una sua azione che l’ha portata a creare lo sportello “Crea lavoro”. Ce ne vuole parlare?
“Con grande gioia! E’ una delle perle di questo nostro cammino insieme con i giovani e per i giovani. E’ un luogo dove i giovani possono andare tutti i giorni ed è sostenuto da altri giovani che si sono ben preparati a livello legislativo, circa le tecniche d’accompagnamento, hanno legami con varie realtà italiane. Diffondono notizie, danno informazioni, ma soprattutto non si limitano a dare un modulo da compilare, ma si intrecciano con la storia dei giovani, quasi come ordito e trama e cercano di capire qual è il disagio giovanile. E poi una volta individuata una pista la accompagnano fino al termine, finchè vedono il lavoro realizzato”.
5. E sempre da un suo forte e personale impegno è nato il gemellaggio tra la Locride ed il Triveneto, che ha portato alla nascita, (in una zona ad alta densità
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