23/06/2010
Rivoluzionando anche i classici canoni di strutturazione di un pezzo, apro lo stesso, scrivendo in modo lapidario il mio pensiero su tale tematica. Non riesco proprio a comprendere il perché si debba indicarli come “disabili” o “diversamente abili”. Basta semplicemente chiamarli col proprio nome e cognome. E’ così semplice! È di per sé evidente che sono seduti su una sedia a rotelle, hanno difficoltà di linguaggio, o altro. Invece, si vuole “certificare” la loro condizione chiamandoli “diversamente abili”. No! Vanno chiamati con il proprio nome e cognome. O è troppo “rivoluzionario”? In queste poche righe iniziali direi che ho sintetizzato come la penso sulla questione della disabilità. Sarebbe, però, troppo superficiale se mi limitassi solo a questo, provo dunque ad approfondirla un po’ dal mio punto di vista, che è quello di un “normodotato”, così dicono gli “esperti”. Ma “normodotato” poi di cosa? La realtà è che vogliamo complicarci la vita anche dal punto di vista semantico. Non amo le mezze misure o le posizioni di compromesso su problematiche importanti e vitali per l’individuo e la società. Ho una sorta di avversione quasi fisiologica rispetto a tutto ciò che noi “normodotati” diciamo: frequentare i disabili arricchisce, dà un senso alla vita, ci si rende conto di ciò che è veramente importante e altre affermazione del genere. Forse saranno anche vere, ma si tratta solo di momenti molto parziali in cui pensiamo di aver fatto la “buona azione” del giorno, della settimana, del mese. “Regaliamo”, si dice, un po’ del nostro tempo. Poi, magari, ritorniamo alla nostra vita di sempre, fatta dei nostri “insormontabili” problemi ed affanni, dimenticando quella parentesi, perché è una parentesi della nostra vita. No! Lui o Lei (con nome e cognome) non può essere una parentesi, deve essere l’essenza. Lui o Lei non possono accontentarsi del nostro tempo ritagliato in cui li accudiamo. Lui o Lei deve poter essere messo/a in condizioni di vivere la propria esistenza da protagonista. Soggetti attivi, propositivi, della propria vita personale e di riflesso di quella sociale a cui appartengono. In questo modo noi “normodotati” potremo veramente “riabilitarci”. E tutte le esperienze propositive che Lui o Lei farà bisogna condividerle e comunicarle socialmente. E qua arriva in grande soccorso l’efficace rete informativa di internet, coadiuvata di tutti i nuovi strumenti e metodi della comunicazione globale che, secondo me, possono veramente abbattare il muro della differenza e della indifferenza.