03/10/2009
Central Park, pochi giorni prima del Twin Towers day… Il detective Domenic Toretto sta percorrendo, come fa ogni sera, le stradine di questo magnifico parco situato in una delle città più moderne quando, verso l’imbrunire, si accorge di alcune macchie di sangue; seguitele, col fiuto che solo un detective può avere, rinviene in un fosso, poco distante, il corpo di una giovane immerso in una pozza di sangue. Toretto, senza impressionarsi troppo, chiama tempestivamente la scientifica che arriva lì tempestivamente e dopo aver seguito tutti i rilevamenti e il trasporto del cadavere si avvia verso casa. È una notte terribile per il detective, che non è certo una persona che si impressiona facilmente, ma vedere quella povera ragazza ridotta in quel modo, avrebbe fatto tremare chiunque. Decide dunque, in quella stessa notte, che avrebbe seguito il caso, denominato dai ragazzi della centrale “caso Park”. Toretto decide di cominciare dall’obitorio, dove è stata portata la vittima a seguito del rinvenimento; la ragazza, avente più o meno 20-25 anni, si chiamava Ashley Khadivi, probabilmente di origine curda. Era stata sgozzata, un taglio perfetto, come dice il medico legale, passante dalla giugulare e terminato alla vena cava superiore; “di certo la mano dell’assassino non doveva tremare al momento dell’omicidio”. Inoltre, l’autopsia aveva rilevato sulle giunture dei polsi e delle caviglie alcuni segni di un evidente legatura con corde molto spesse, ma cosa più interessante, sottopelle, la ragazza aveva qualche residuo di un tatuaggio raffigurante due scimitarre incrociate e uno di quei pugnali che usano i tuareg. Il detective decide di tornare sul luogo del delitto, in quello stesso punto in cui erano state trovate le macchie di sangue, quando, un anziano signore, dalla folta e grigia barba, lo avvicina parlandogli con circospezione; il vecchio aveva visto tutto: due uomini, sicuramente non americani avevano scaraventato il corpo della giovane giù per il fosso. Toretto intuisce che, per trovare il vero assassino, avrebbe dovuto prima trovare i due suoi complici; per la via di casa il detective si accorge che all’interno di una cabina telefonica suonava insistemente un telefono cellulare, e preso dalla curiosità non esita a rispondere, dall’altra parte una voce gracchiante fa raggelare il sangue nelle vene del detective. “La voce”, molto probabilmente, anch’essa di origine non statunitense, comunica a Toretto i nomi di due possibili sospettati: Khalil Mustafa e Mohamed Hawass. Il detective non sentirà (per fortuna) mai più quella voce, ma capisce di doversi muovere e anche in fretta. Arrivato al dipartimento di polizia cerca sull’elenco dei criminali i due nomi dettati dalla voce. Subito un riscontro, i due esistono realmente e fortunatamente ci sono anche le loro foto. Toretto decide di mostrarle al vecchio, unico testimone più o meno attendibile, che riconosce Mustafa e Hawass. I due verranno arrestati pochi giorni dopo ma, non vogliono confessare nulla o almeno non vogliono confessare l’identità del vero assassino. Il detective non sa cosa fare i due sospettati non confessano. Come fare allora a scoprire il colpevole? Nella mente di Toretto, però, da giorni, si riproponeva una piccola frase di un racconto giallo letto anni prima: “l’assissino era difatti il più insospettabile tra tutti, un abile trasformista…”. Toretto,finalmente, si rende conto chi fosse il colpevole; senza perdere un attimo di tempo si fionda al Central Park e su quella panchina è seduto l’assassino: “ce ne ha messo di tempo per capire detective!”.