07/01/2012
Il Dottor Pezzi, ispettore del Commissariato di via Cadamosto, a Roma, si trovò a dover risolvere un caso complicato. Era stato trovato un uomo, accoltellato in una stanza, chiusa dall’interno e situata all’ultimo piano, il quarto, di una palazzina di via Lulli, inaccessibile dall’esterno. Era il classico delitto a porte chiuse e, pensava, doveva capitare proprio a lui una cosa così in agosto, nella città vuota e con un caldo che avrebbe ammazzato un cammello. Fumava nervosamente, analizzando quel delitto senza apparenti cause, avvenuto in un quartiere tranquillo, in cui gli abitanti denunciavano, tutto al più, furti. Delitti non ne avvenivano in zona da molti anni, perché la gente che vi abitava, evidentemente, non aveva carattere violento. Le indagini che ne erano seguite non erano approdate a nulla, tanto che il caso era stato archiviato. Il commissario passeggiava così nel suo ufficio, in quel pomeriggio soleggiato, guardando ogni tanto la piazza della chiesa di Santa Francesca Romana dove i piccioni beccavano gli ultimi chicchi di riso rimasti dopo i festeggiamenti di un matrimonio della mattina; avvenimento alquanto strano per quel mese dell’anno, in una Roma semideserta in cui la maggior parte dei suoi abitanti si rinfrescava al mare o in montagna. Passeggiava e ricapitolava le notizie in suo possesso riguardanti il morto, che era la classica persona perbene. Si chiamava Piero Dirotti, quarantenne, ingegnere chimico, titolare della Fireball, una ditta di Vimodrone, produttrice di palle da tennis. Era nato a Parma e abitava in via Lulli n° 11 da dieci anni; era riservato e, a quanto sembrava, senza moglie. Perché ammazzarlo così? Quindici giorni prima, gli agenti Corelli e Di Giorgio, rispondendo alla chiamata del 112, erano arrivati sul luogo del delitto e, dopo aver interpretato il racconto confuso della portinaia – domestica –tuttofare, Maria Rivelli, avevano subito chiamato il commissario e riferito a lui l’accaduto. La Rivelli, custode dello stabile al mattino, nell’arco della settimana svolgeva al pomeriggio il ruolo di collaboratrice familiare tra i pochi condomini: quattro, uno per ogni piano del palazzo, aumentando in tal modo le sue modeste finanze. Quel venerdì mattina, alle otto, ritirata la corrispondenza da Pino, il postino di quartiere, aveva provveduto a disporla nelle caselle degli inquilini, ma aveva trattenuto quella dell’ingegnere per consegnargliela alle otto e mezza, quando sarebbe passato davanti alla guardiola; l’avrebbe salutata dicendo: “Buon giorno, Maria” e sarebbe andato in ufficio a bordo della sua automobile, una Smart di colore giallo canarino che aveva acquistato da poco tempo, sostituendo la Kitcar rosa del tutto fuori luogo per quel tipo maschio che l’ingegnere sembrava. “Era una persona puntuale e abitudinaria” , aveva dichiarato la Rivelli al Commissario, “Però…” Quella mattina, però, alle nove e dieci l’ingegnere non si era ancora fatto vedere e Maria, preoccupata e curiosa, era salita al quarto piano, aveva suonato il campanello e bussato ripetutamente alla porta. Dall’interno proveniva una musica strana, segno che l’ingegnere era in casa, ma non le apriva. Con le sue chiavi, allora, quelle che usava quando si occupava delle pulizie dell’appartamento, la Rivelli aveva tentato di entrare, ma, anche se la chiave girava nella toppa, l’uscio non si apriva, come se fosse bloccato. Temendo il peggio, dopo aver ancora suonato, bussato e ribussato, aveva chiamato il 112 chiedendo aiuto. E gli aiuti erano arrivati: prima la volante e poi il Commissario Pezzi, quindi i pompieri e infine, inutilmente, l’ambulanza. Dopo che la porta fu aperta con fatica, perché risultò chiusa dall’interno con due assi di legno incrociate, il corpo senza vita dell’ingegnere fu trovato riverso sul pavimento del soggiorno con un coltello da cucina conficcato nella schiena. Per il resto l’appartamento era in ordine, nessun segno di colluttazione, le finestre chiuse, le tapparelle abbassate, la luce accesa. Erano subito partite le indagini: rilievi, analisi, autopsia, controlli sulla vita privata e professionale della vittima. Non se ne era ricavato niente che potesse dare un’idea sul movente e sul colpevole del delitto. Erano passati quindici giorni da allora e nelle pagine romane del Corriere un articolista, forse a corto di idee, proprio quel mattino aveva lamentato che le indagini sulla caccia all’assassino non continuavano, così andò dal Commissario Pezzi e si accorse che Lui, invece, stava lavorando giorno e notte al caso. Il giornalista si scusò con il Commissario Pezzi. Il Commissario si accorse che ormai parecchia gente sapeva troppo di quel caso così si decise: interrogò ancora la Rivelli. “So chi è il colpevole” affermò con aria sicura la Rivelli. “Si ricorda un altro particolare dell’omicidio?!” domandò incredulo il Commissario. “Sì, però non vi dirò il nome del colpevole, ma solo che in uno dei controlli che avete fatto avete già la prova e il nome del colpevole stesso.” Il Commissario Pezzi provò a convincerla e a farsi rivelare il nome del colpevole e la prova che lo inchiodava definitivamente al suo destino. La Rivelli sorrise e uscì dal commissariato. Il Commissario Pezzi cominciò a riguardare le prove in suo possesso e si accorse che sul coltello analizzato vi erano due tipi di impronte, oltre quelle dell’ingegnere Dirotti, erano appena percettibili delle impronte confuse che dopo averle analizzate risultarono del postino. Appena il Commissario Pezzi lo venne a sapere si “lanciò” verso l’abitazione del postino, che sembrava essere l’assassino di quell’omicidio. Giunto presso l’appartamento, all’8° piano, afferrò con cautela la maniglia, ma poco prima di farla ruotare sentì delle voci. Così, senza aspettare, cercò di distinguerle, erano affannate entrambe, però si comprendeva che erano di due persone diverse, forse un uomo e una donna? Il Commissario ascoltò più attentamente e la voce della donna gli sembrava di conoscerla… “Certo!” disse, con voce appena percettibile, il Commissario Pezzi. “La voce della donna” affermò “ è quella della Rivelli”. Quella dell’ uomo gli sembrava quella del postino, ma non ne era sicuro. Fino a quando… “NO!”, urlò quasi a squarciagola l’uomo, “Io non mi costituisco”. Dopo quell’urlo il commissario Pezzi distinse chiaramente la voce dell’uomo… era proprio il postino. Così si allontano dall’appartamento e chiamò con il cellulare i suoi agenti: “Sono io, dovete avvicinarvi silenziosamente all’abitazione del postino e farvi irruzione”, disse ai suoi agenti il Commissario Pezzi. “Io vi aspetto qui”. Passarono una decina di minuti e il postino e la Rivelli discutevano ancora sul da farsi. Il commissario, verso le 6:30, vide arrivare i suoi uomini e gli diede le istruzioni: “Corelli, lei deve accertarsi che non siano armati!” ordinò il Commissario Pezzi. “Di Giorgio, lei deve accertarsi che non scappino!” Continuò il Commissario. “Voi altri tutti con me!”. Così si appostarono fuori dall’abitazione del postino e attesero il momento giusto,cioè quando fossero stati di spalle. Non dovettero attendere oltre un paio di minuti e, dopo essersi fatti consegnare il doppione della chiave, il Commissario ruotò la maniglia e, velocemente, varcò la soglia. "Mani in alto!" ordinò il Commissario Pezzi. "Maledizione, ci hanno scoperti!" si lagnò il postino. "Io ti avevo consigliato di costituirti, ma non mi hai dato retta", disse la Rivelli. "NO! Loro non avevano prove", disse infuriato il postino. Così il Commissario Pezzi li condusse alla volante. Arrivati in questura il Commissario Pezzi chiese ai due assassini come si fossero svolti i fatti: "Allora? Qual è il movente?". Dopo non aver ottenuto alcuna risposta, si alzò di scatto e, sbattendo nervosamente la mano sul tavole richiese: "QUAl è IL MOVENTE ?!?!?!?!?!?!". I due delinquenti bisbigliarono qualcosa fra di loro. "PARLATE!" disse quasi esausto il Commissario. Dopo quella urlata la Rivelli si decise: "Ci ricattava" "Ed è questo il motivo?" chiese incredulo il Commissario Pezzi. "Assolutamente sì" ribattè la Rivelli. "Io avevo effettuato il furto alla gioielleria e lui mi aveva scoperta, mi ricattava, ma vista la cifra esorbitante di 1 milione al mese, io e il mio fidanzato (il postino), abbiamo deciso di ucciderlo". "Capisco" disse ancora nervoso il Commmissario Pezzi. "Ma quindi… "Chi ha commesso l’omicidio?" "Io" disse rattristato il postino. "Sono io il colpevole, lei non centra, è stata solo un’idea mia". "No, io sono stata sua complice, l’idea è anche mia ed io sono sua complice", disse la Rivelli, difendendo il fidanzato. Il Commissario iniziò a fissarli innervosito per una decina di minuti, poi scrisse sul verbale: Movente: ricatto. Solo un paio d’ore più tardi la Rivelli ed il postino erano davanti ad un giudice che li aveva condannati con rito abbreviato: Lei dentro per 20 anni per furto e complicità nell’omicidio; lui dentro per 30 anni per complicità di furto e omicidio premeditato. E così il Commissario Pezzi, per l’ennesima volta, era riuscito a risolvere un altro caso apparentemente irrisolvibile.