02/10/2012
10 settembre 1956, ore 3.00 del mattino. Dopo una telefonata del mio capo, sono andato di corsa alla centrale di polizia di Los Angeles, per un’urgenza.
Arrivato lì, c’era una grande folla attorno al luogo del delitto, mi sono fatto spazio e finalmente lo vidi, disteso senza vita, l’investigatore Flambert, uno dei più famosi al mondo, con un pugnale conficcato nella schiena; vicino al corpo c’era una larga chiazza di sangue.
“Scusate, non mi sono ancora presentato, sono l’ispettore Bruce, della polizia di New York e sono stato convocato per alcuni casi ancora da risolvere. E, inaspettatamente, mi fu affidata la risoluzione di quel caso.
Sono rimasto soprapensiero per un paio di minuti fin quando, una coppia mi si avvicina presentandosi: “piacere Bruce, il mio nome è Caroline Flack e lui è il mio fidanzato Jhonson!” disse la giovane ragazza. “Piacere, mi chiamo Jhonson ed ero il miglior aiutante di Flambert. Assurdo! non avrei mai pensato che il mio capo facesse questa fine…”disse con una leggera risata sotto i baffi.
Io sempre più curioso chiesi: ”avete qualche indizio o sospetto?”. “no, sappiamo solo che è stato ucciso con un pugnale.”
Passarono 4 giorni e dei due innamorati non seppi più niente. Feci di tutto per trovare i loro indirizzo di casa. Fortunatamente, lo trovai e senza esitare andai a trovarli.
In casa c’era solo Caroline e io, insospettito, le domandai dove fosse Jhonson, ma lei, fredda, rispose dicendo: ”è andato a fare una passeggiata nel quartiere qui vicino, non so se sia andato più lontano.”, io me ne andai e subito capii che era nell’ufficio della vittima, forse voleva rendersi utile nelle indagini. Allora mi diressi in quel luogo e, silenziosamente, e con molta cautela, vidi Jhonson rovistare nei cassetti e poi ripulirli. Mi chiesi cosa stesse facendo, ma non volli intervenire, così tornai al posto di lavoro.
Il giorno seguente mi diressi verso l’ufficio della vittima e trovai un paio di indizi molto interessanti: sulla scrivania c’era un foglio accartocciato su cui era scritta questa lettera:
“sono in un momento di confusione
noto una certa tensione tra me e il mio
fidato aiutante, percepisco un senso di
paura e timore verso lui.
Mi sembra una persona crudele e
Piena di cattiveria…”
Philip Flambert.
A primo impatto rimasi senza parole, ma non del tutto sorpreso. Sotto le carte vi era un coltello insanguinato. Mi misi il guanto, presi il coltello e lo depositai in un sacchettino di plastica, per portarlo ad analizzare.
I risultati mi arrivarono dopo un paio di giorni e con stupore, scoprii che le impronte sul manico erano della ragazza di Jhonson; ma analizzando anche il pugnale nella schiena di Flambert, notai anche le impronte di Jhonson; ero ormai convinto di chi fosse l’assassino, così convocai i due sospettati.
Non arrivarono puntuali, si fecero aspettare alcune ora, ma non appena furono là, iniziai a parlare senza lasciar loro la parola: ”Buon pomeriggio, spero abbiate passato una buona domenica… Sapete, sono state fatte delle indagini che ci hanno fatto capire che l’invidia è un movente alquanto potente. So che lei avrebbe voluto fare l’investigatore di fama mondiale, ma per sua sfortuna Flambert l’ha superata ed è diventato il suo superiore, ma lei non ha avuto intenzione di arrendersi e così, dopo esser diventato il suo miglior aiutante, l’ha accoltellato, convincendo la sua Caroline a farsi aiutare; ma ha fatto il gioco sporco… ha fatto uccidere il suo capo da Flack, e ha messo un altro coltello nel punto della ferita, per incriminare la sua convivente”.
Caroline Flack rimase stupita e aggiunse: ”mi fidavo di lui, l’ho fatto solo per amore…” poi iniziò a piangere, mentre l’assassino tenne la testa bassa fin quando non arrivò la polizia che portò via i due assassini. Qualche mese dopo Caroline si impiccò nella sua cella, mentre il suo fidanzato non si pentì del gesto compiuto.