Racconti

La raccolta delle olive

La raccolta delle olive

27/03/2008


 

Da lassù, da quella terrazza naturale, poco sotto il bosco Catalano, si poteva osservare buona parte della costa jonica che va da Monasterace a Locri. Da lì, durante l’autunno, Vincenzo guardava, pensava e faceva suoi tutti gli odori e i profumi di quel periodo. Da sempre Vincenzo era stato affascinato dal contatto con la terra e la campagna, ma mai aveva operato in attività agresti. Questo gli accadde per la prima volta, nel 1985, dopo che aveva concluso gli studi universitari e si era laureato brillantemente in Filosofia col massimo dei voti e la lode. In quell’anno diede una mano per la raccolta delle olive ai suoi genitori: la madre Genoveffa e il padre Peppe. I genitori di Vincenzo non erano contadini di professione, perché svolgevano attività diverse; sarta la mamma e pescatore il padre. Ma da qualche anno, si erano assunti l’impegno della raccolta delle olive, appartenenti alla sorella di Genoveffa, la zia Anna. La raccolta iniziò intorno alla metà d’ ottobre e si protrasse fino alla fine di novembre. Prima che si cominciasse a raccogliere, intorno alla fine di settembre, Genoveffa, Peppe e Vincenzo andavano nei pomeriggi di domenica a controllare la quantità delle olive presenti sugli alberi, per fare previsioni sulla quantità di olio che si sarebbe prodotto. Non appena le olive raggiunsero la giusta maturazione, il padre Peppe cominciò a trasportare le cosiddette “verghe”: dei lunghi bastoni con i quali si sarebbero buttate giù dall’albero le olive. I genitori di Vincenzo avevano una piccola utilitaria, una “126”, acquistata con molti sacrifici e dopo tanti anni; e con questo mezzo, trasportavano tutto il necessario per la raccolta: dalle reti, alle “verghe”, ai sacchi per depositare le olive raccolte, ai secchi, usati per raccogliere nell’immediato, le olive da sotto gli alberi. La zona di campagna dove si trovavano gli ulivi, non era molto lontana dall’abitazione di Vincenzo; con la macchina ci s’ impiegava un quindici – venti minuti per raggiungere Caria, questo il nome della zona, ai piedi del bosco Catalano. Il sabato e la domenica si stava fuori per l’intera giornata, mentre durante la settimana, si andava non tutti i giorni e solo nel pomeriggio. Vincenzo amava molto tutto quel rituale di preparazione del cibo da portare in campagna, l’alzarsi presto la mattina e l’indossare quegli indumenti così poco formali e anche vecchi ed usati. Di solito, Vincenzo alzatosi presto, faceva colazione, nel frattempo la madre Genoveffa preparava il cibo da portare e il padre Peppe usciva per andare in un piccolo magazzino, vicino casa, a prendere tutti gli attrezzi necessari e attendeva nei pressi della macchina, l’arrivo di moglie e figlio. Vincenzo, amante della musica, ma anche conduttore radiofonico di una radio locale, portava con sé una piccola radiolina a batterie per ascoltare la musica e il suo programma, che era mandato in onda la domenica mattina. Intorno alla fine di ottobre, in questa parte della Calabria, le condizioni del tempo erano ancora quasi estive e ci si vestiva con maniche corte, con il sole che faceva da compagno fedele, a chi, in campagna, era lontano dalla moltitudine della gente, anche se di paese. Vincenzo era straordinariamente affascinato e quasi rapito da quella natura che si manifestava attorno a lui con una molteplicità e varietà d’ aspetti. Cominciò a fare sua un’attività che mai aveva praticato e che non gli apparteneva. Ma la sua voglia di conoscere, di arricchirsi d’ ogni pur minimo e apparentemente insignificante segno di vitalità, gli permise di interpretare quasi immediatamente, quel ruolo di raccoglitore di olive, per il quale sembrò essere naturalmente portato.* Vincenzo, quasi subito, instaurò con le “verghe” una sorta di rapporto d’ amore – odio. Nel senso che, gli piaceva buttar giù dai rami degli alberi le olive. Questa, però, non era un’operazione molto facile come poteva sembrare. Infatti, soprattutto all’inizio, Vincenzo dimostrò di non avere molta dimestichezza con quei lunghi attrezzi di legno. Tanto che, battendo forte sui rami degli ulivi, ruppe tre “verghe” e una serie interminabile di rami. Insomma, se gli alberi avessero potuto parlare avrebbero fatto certo a meno di quell’azione violenta del giovane intellettuale. Ma col passare dei giorni, Vincenzo cominciò a scoprire i segreti di quell’operazione e ad arrecare sempre meno danni. La raccolta delle olive si rivelò per il nostro protagonista, un’attività non solo affascinante, ma anche particolarmente faticosa sul piano fisico. Oltre a battere i rami, per far cadere le olive, bisognava poi raccoglierle. E questa fase era sicuramente la più pesante. Per facilitare la raccolta era messa sotto ogni albero una rete, in modo tale che le olive cadute potessero lì depositarsi. Non sempre, però, la rete era sufficiente; infatti, molte delle olive cadevano fuori. Quindi, nel momento della raccolta, bisognava, con pazienza, andare a trovare tra i fili d’erba e il terreno le olive sfuggite. Dopo averle ammonticchiate tutte in un posto, Vincenzo, Peppe e Genoveffa li trasferivano in dei secchi molto grandi, che erano lasciati sotto un albero. A fine giornata, tutti i secchi raccolti si svuotavano in dei capienti sacchi di juta. Di solito, Vincenzo e i suoi ne raccoglievano due o tre a volta. Con fatica, poi, li trasportavano nei pressi della piccola macchina – che per l’occasione si trasformava in una sorta di furgoncino – e dopo aver raccolto tutto il materiale che avevano portato con loro per la giornata rientravano. La trafila giornaliera non si concludeva qua. Infatti, dopo esser scesi da Caria, ormai sul far del vespro, i sacchi di olive raccolti venivano portati presso l’orto della zia Anna, dove c’era un piccolo garage e lì, per terra su di un lungo telo, si depositavano nell’ attesa di essere portati al frantoio nei giorni successivi. Tutto era così poetico agli occhi di Vincenzo, e tutto da li a poco sarebbe finito. E quelle straordinarie impressioni autunnali della terra di Calabria sarebbero diventate solo un ricordo. Infatti, poco prima di Natale, precisamente il 15 dicembre, Vincenzo è costretto a lasciare Roccella per partire alla volta di Milano…


RECENSIONE: “ Raccolta delle olive”
di
Eleonora Rizzardi

A parer mio, la trama è interessante, ma, per come interpreto io il significato di "coinvolgente" riferito ad un racconto, credo non sia pienamente adeguato.
Spiegandomi meglio: secondo me, alcuni racconti riescono a suscitarti certe sensazioni, riescono a farti immaginare la scena e quasi a fartene "impadronire", riuscendo appunto, a coinvolgerti nella storia, facendoti provare le emozioni all’ unisono con i personaggi, regalandoti a volte la voglia di non staccare gli occhi dal libro, per continuare a vivere la storia...Non so se a causa del genere (autobiografico) o per la brevità del racconto,credo che sia un po’ carente sotto questo punto di vista.
Leggendolo non ci si annoia e si ha voglia di arrivare alla fine, grazie anche alla scrittura fluida e comprensibile, caratterizzata secondo me, da uno stile particolare e proprio.



 

 

Giovanni Certomà

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